Home I lettori ci scrivono Aggressioni ai professori? Un problema che coinvolge lo Stato e la società

Aggressioni ai professori? Un problema che coinvolge lo Stato e la società

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Il moltiplicarsi di episodi di aggressione nei confronti di docenti e, più in generale, di atti di bullismo che si consumano all’interno delle pareti scolastiche, ha generato, negli ultimi giorni e settimane, un dibattito vastissimo, amplificato dai cosiddetti media (giornali, televisioni, social media, ecc.), nel quale hanno fatto a gara ad intervenire giornalisti, opinionisti, editorialisti, psicologi, sociologi, tuttologi e, dulcis in fundo, conduttori e vallette televisivi.

Particolarmente “shoccante” (si fa per dire), l’intervento del noto scrittore e giornalista Michele Serra (che non mi risulta, ma forse sbaglio, essere un esperto del mondo della scuola), sulla Repubblica di venerdì 20 aprile.

Insomma, moltissimi interventi di persone rispettabili, ma esterne alla scuola; pochi interventi da parte di chi nella scuola ci lavora, a partire proprio dei docenti, l’opinione dei quali, evidentemente, suscita scarso interesse nell’universo dei media. Invece sarebbe ora che i docenti, che vivono quotidianamente i problemi e i disagi (molti) così come le soddisfazioni (scarse) legate alla loro attività professionale, esprimessero in maniera netta e pubblica le loro opinioni al riguardo. Cominciamo allora con questo mio modesto contributo, sperando che moltissimi altri colleghi vogliano seguire l’esempio.

Innanzitutto è necessario (lo so che è banale dirlo, ma è anche doveroso) premettere che:

  • gli studenti, di qualsivoglia indirizzo e grado di scuola, non costituiscono una massa di “bulletti”, pronti ad aggredire ogni giorno i loro compagni di classe e i loro insegnanti; i bulli e i maleducati sono una minoranza, purtroppo una minoranza che fa danni, agli altri e a loro stessi, perché si condannano ad essere, usciti da scuola,degli emarginati e dei sorvegliati speciali se, ovviamente, le forze congiunte e alleate, di scuola e famiglia, dovessero malauguratamente fallire con i loro interventi di recupero educativo;
  • anche i genitori che si lasciano andare ad atti inconsulti di violenza nei confronti di docenti sono una minoranza, non rappresentano quindi la stragrande maggioranza di persone per bene e impegnate nel seguire, quotidianamente, lo sviluppo educativo e la crescita culturale dei loro figli, che avviene sia nella scuola che negli ambiti familiare, sociale, sportivo, ecc.

Tuttavia è necessario aggiungere che, pur rappresentando (studenti e genitori violenti) una minoranza, essi costituiscono un problema, un problema che non riguarda soltanto la scuola ma la società nel suo complesso, così come lo Stato e i suoi apparati. Molto opportunamente è stato detto e scritto che il susseguirsi di questi episodi di violenza è ascrivibile (tra le varie cause) anche ad una grave perdita di prestigio e di autorevolezza che la categoria dei docenti ha subito in questi ultimi anni (ma io estenderei il periodo agli ultimi decenni);  ritengo banale però, anche se vero, riferirsi solamente alla questione “stipendio del docente”: non bastano gli scarsi livelli retributivi (soprattutto se paragonati a quelli dei nostri colleghi UE) dei docenti a spiegare il tutto; così come non è sufficiente tirare in ballo l’argomento relativo alla mancata difesa della categoria da parte dello Stato. A mio avviso c’è di più, molto di più che una mancata difesa e una scarsa considerazione sul piano retributivo, da parte dello Stato, del ruolo e della funzione dei docenti nella società.

Non tutti sanno, neanche Michele Serra lo sa (visto che non ne fa menzione nei suoi interventi), che l’autorevolezza del docente, sia sul piano didattico che sul piano del reddito, viene continuamente minata dalla facilità con la quale le decisioni del docente possono essere messe in discussione e addirittura ribaltate.

Innumerevoli sono infatti le deliberazioni della giustizia Amministrativa che hanno dato torto ai docenti, modificando o cassando le decisioni di Consigli di Classe, degli Organi di garanzia, delle Commissioni d’esame di Stato; molto spesso con argomentazioni capziose o risibili, veri capolavori di arte “leguleia”. I repertori di sentenze pronunciate dai vari TAR o dal Consiglio di Stato stanno lì a dimostrare quanto sia agevole, se si hanno denari da spendere e un buon avvocato esperto di cavilli legali, ribaltare decisioni relative a bocciature o addirittura a singoli voti.

Così sono altrettanto innumerevoli, ma con ripercussioni ben più pesanti, le sentenze di Tribunali, Corti d’Appello o Corte di Cassazione che danno torto ai malcapitati docenti che sono incappati, sciaguratamente, in casi d’infortuni (anche lievissimi) di cui sono rimaste vittime loro studenti, e che sono stati ritenuti responsabili di “culpa in vigilando” e, di conseguenza, condannati a risarcire sia il danno che le spese legali.

Per molti giudici ordinari, infatti, se uno studente aggredisce, in classe, un altro studente provocandogli un danno fisico e/o morale, la colpa non è dello studente aggressore e magari dei loro genitori (“culpa in educando”), bensì del docente che, conoscendo il carattere aggressivo dello studente bullo, non ha opportunamente vigilato e controllato impedendo così l’azione dannosa. Per gli stessi giudici se uno studente è rimasto ferito (o peggio) durante le ore notturne nel corso di una gita scolastica, è chiaro che la causa è da ricercarsi nella “culpa in vigilando” del povero docente accompagnatore: come si permette, un docente accompagnatore, alle tre di notte, di dormire nella propria stanza? Il servizio di vigilanza, per la Giurisprudenza italiana, dura infatti 24 ore! Di conseguenza il docente viene condannato a risarcire il danno.

Inoltre bisogna considerare il meccanismo pazzesco e paradossale che porta a simili sentenze: infatti non viene chiamato direttamente in causa, in simili ricorsi risarcitori, il docente, bensì la scuola, la quale si difende attivando l’Avvocatura dello Stato che, in verità, non dimostra quella solerzia e quell’attenzione che sarebbe auspicabile ai fini del buon nome della scuola e, di conseguenza dello Stato di cui la scuola è un’articolazione importante. Pertanto un buon avvocato ha facile gioco nel dimostrare che il danno subito deriva da una mancata vigilanza del docente.

Risultato: la scuola viene condannata a risarcire; in base al principio “solve et repete”, la scuola (nella fattispecie il MIUR) risarcisce il danneggiato e si rivale sul povero docente. I casi in cui i docenti, pur non essendo stati direttamente chiamati in causa in questi ricorsi, hanno dovuto mettere mano al portafoglio sborsando migliaia di euro (a volte hanno dovuto perfino mettere in vendita l’abitazione) a causa dell’azione di rivalsa del Ministero nei loro confronti, sono innumerevoli.

Risulta di conseguenza patetica (oltre che irrealistica) l’esclamazione o l’invocazione rivolta da molti colleghi allo Stato, affinché lo Stato si assuma il compito di difendere e tutelare la salute, il prestigio e l’onore della categoria docente. Chi, materialmente, dovrebbe tutelarli? Forse la Magistratura, sia quella amministrativa che quella ordinaria, che finora non ha fatto altro che tartassarli e impoverirli addebitando loro, nella maggioranza dei vari contenziosi, la famigerata “culpa in vigilando”? O forse il MIUR, così solerte e pronto, dopo ogni causa persa, non a resistere in appello, bensì a rivalersi sullo stipendio dell’insegnante?

E’ chiaro che, se si vuole veramente tutelare la categoria, risultano indifferibili le necessarie modifiche nella legislazione e, soprattutto, nell’applicazione delle leggi e, in quest’opera di cambiamento, sono chiamati in causa tanto il Parlamento (potere legislativo) quanto i giudici (potere giudiziario). E’ chiamata in causa, inoltre, la società nel suo complesso: se si vuole un futuro migliore per questo Paese e per i giovani, esso dipende anche e soprattutto dalla formazione delle giovani generazioni, formazione che si acquista essenzialmente dalla scuola, e nella scuola ci sono gli insegnanti, che non possono essere continuamente aggrediti, minacciati, mortificati nelle loro legittime aspettative economiche, frustrati e umiliati nel loro prestigio e nella loro onorabilità.

Un’ultima osservazione, questa a beneficio di Michele Serra, affinché ne faccia tesoro: ci sono molti modi per aggredire un docente. Lo si aggredisce non soltanto con le minacce e/o con le botte, cosa che avviene, come egli sostiene, soprattutto e più di frequente negli Istituti tecnici e professionali. Anche le minacce di azioni legali, seguite dalle stesse azioni legali, quasi sempre con richieste risarcitorie, sono aggressioni, che mortificano i poveri docenti. E quest’ultimo è il modo che si preferisce utilizzare, ahimè, soprattutto nei licei. Per Michele Serra è questione di buona educazione. Posso essere d’accordo con lui; purtroppo il risultato non cambia.

Francesco Sirleto