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Autonomia scolastica, 20 anni dopo

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Nei giorni scorsi si è svolto a Capo Vaticano, in Calabria, si è svolto un importante convegno per fare il punto sulle norme in materia di autonomia scolastica, a venti di distanza.  Pubblichiamo in proposito un interessante contributo di Silvana Borgese che propone un’ampia e accurata riflessione sul convegno e più in generale sul tema.

Vent’anni dopo

L’autonomia scolastica è prossima al suo ventesimo compleanno.
Introdotta nella scuola  col DPR 275 del 1999, ne ha tuttavia varcato i cancelli qualche anno prima, anticipata sperimentalmente da un  decreto ministeriale e da una  volontaria adesione  progettuale.
Era il novembre del ’97 e si testava la spinta di una cultura dell’autonomia  scolastica dal basso, mettendo sul tavolo risorse finanziarie.
Il  tirar fuori  quattrini  è  gesto che solitamente  convince  ad accreditare le intenzioni dell’Amministrazione e, dunque, data la necessità di risorse e di dispositivi che facilitassero il  governo dei tanti plessi del Circolo didattico, alla Nosside di Reggio Calabria si partì senza indugio.
E, a onor del vero, ci fu  qualcosa d’altro che fece da volano a quell’adesione.
Erano alcuni  anni che si andava per convegni a ragionare di autonomia scolastica. Si cercava  di dare contorni e corpo ad un’idea che circolava da un po’, ma  che appariva ancora molto, ma molto in bozza.

L’esperienza calabrese

Reggio Calabria, Palermo, Vibo V., Catanzaro… Si andava in giro, ci si confrontava, si facevano ipotesi sul nuovo  profilo di scuola  e di  figura professionale che avrebbe dovuto dirigerla. All’inizio del decennio “Mani pulite” aveva spazzato via un’intera classe politica, trascinando giù anche la managerialità privata. Ciò nonostante, il mito del manager continuava ad  essere forte. E non si trattava – almeno nella stragrande maggioranza dei casi – di un calcolo  circa l’orientamento retributivo (peraltro impensabile) che l’aggancio a tale  profilo poteva essere in grado di produrre.

No, ancora una volta ad essere in campo erano  dei valori simbolici :  il prestigio sociale, la risonanza e l ‘idea di potere  veicolati e indotti  dal trattamento economico del manager. Lo stesso principio  insomma, che  applicato al contrario,  ha  fortemente  svalutato  nel tempo il ruolo degli insegnanti italiani.

Il convegno a Capo Vaticano

In un incontro pomeridiano organizzato  a Reggio Calabria, un serrato confronto tra due  “capi d’istituto”(sic!) schierò su linee contrapposte l’interpretazione  del futuro  profilo dirigenziale. Ma, a doverla dire senza discriminazioni di genere, non si trattò   di  due capi, ma di due capesse d’istituto, di cui  una era la sottoscritta.

Alla luce di quanto  avvenuto, ovvero dell’orientamento  prevalso tra i dirigenti scolastici, la mia  posizione, a posteriori, si rivelò decisamente  soccombente. Ma giacché la scuola, per quanto si dica,  non ha natura aziendale e l’attuale  gestione amministrativa tende a  sopraffare il “quotidiano” dirigenziale condizionando, di fatto, non solo  le aspirazioni manageriali ma anche più  efficaci pratiche gestionali, direi che qualche dubbio sugli orientamenti altrui continuo a nutrirlo. Vedo, circa l’originale  progetto dell’ autonomia scolastica, una sorta di eterogenesi dei fini, o, se volete, qualcosa che mi fa pensare ad  un OGM. Salvo, ovviamente, eccezioni. E anche, molto interessanti.
Mi sbaglio?

L’intervento di Luigi Berlinguer

E dunque c’è Luigi Berlinguer a  Capo Vaticano, a cercare di rispondere, insieme ad altri esperti, alla domanda posta dal convegno: “L ‘autonomia concreta esiste?”

“L’autonomia scolastica è in cammino” dice  Luigi Berlinguer.
Sebbene  ormai anziano, l’ex Ministro alla P.I  racconta con accattivante  lucidità l’Autonomia scolastica, ovvero la sua creatura. Luci e  ombre dei suoi quattro lustri di attuazione, e, dunque, speranze, realizzazioni, sviluppi, buone pratiche, criticità. Il suo sguardo cerca di posarsi  con obiettività anche su ciò che  dell’Autonomia è andato storto e ne ha  ipotecato le potenzialità. Invita a riflettere, Berlinguer, invita a ripensare  responsabilmente e lucidamente il tema, per approfondirne  le problematiche e segnalarne gli sviamenti.
Mi accorgo che alcune riflessioni  fatte   sul campo collimano con quelle del Ministro. Mi sento  sollecitata ad un’analisi critica e sistematica.

Accolti dalla calda ospitalità meridionale di Maria Salvia, dirigente dell’ I.C. A. Vespucci di Vibo Valentia Marina   e organizzatrice del convegno,  e   traghettati da  relatori  esperti (Mario  Fierli,    Giovanni Di Fede, Renato Anoè),  si veleggia, durante il primo pomeriggio,  per il mare aperto dell’Autonomia organizzativa e amministrativa, nonché per l’intrigante mondo delle tecnologie.

L’intervento di Raffaele Iosa

Son circa le ore 17 e l’ ispettore  Raffaele Iosa, con la  passione e il carisma comunicativo che lo distinguono, prova a ricondurre alla “ casa madre”  l’autonomia scolastica, facendola così  rifulgere della sua promessa innovatrice.
“Io Insegno a te”(essenziali della didattica per l’autonomia)  è il provocatorio titolo di una  relazione che guida gli occhi fino al cuore pulsante della riforma, in quel crocevia tra didattica, pedagogia, ricerca e innovazione, che decide, a mio avviso, della “performatività” del sapere scolastico.

Le  menti si accendono.
Il coniuge accompagnatore, estraneo alla scuola ma autocoinvolto per amor di  sapere e di condivisione, drizza  le antenne.
Berlinguer dalla sala interviene, accenna al suo sogno: la diffusione dell’insegnamento della musica anche nella scuola primaria. Si avverte la preoccupazione per l’inattivato  insegnamento, peraltro previsto  come obbligatorio dalla legge  107/2015 .

Un bilancio finale

Al termine della  sua esternazione  mi avvicino. Desidero dirgli che no, non sempre  il suo desiderio si è infranto e il suo progetto è naufragato. Gli racconto della musica nella Nosside, del metodo messo a punto dalla mia compianta maestra Marilena Licandro (consentitemene  il nome), dei concerti, dei numerosi premi e di altro ancora che l’autonomia didattica, organizzativa, di sperimentazione e  ricerca, unitamente  all’impegno  della “Generazione Nosside”, ha consentito di realizzare in una periferia  di Reggio  Calabria.

L’Autonomia scolastica, prima ancora che un Regolamento,  è  una  INTERPRETAZIONE, concludo e, come tale, nasce e vive soprattutto nella testa delle persone.
Berlinguer ascolta attento. Un veloce cenno di condivisione e,  spostando lo sguardo  verso la sala, “bellissima!” esclama.
Cerco con gli occhi la destinataria del  complimento, ma non vedo donne nei paraggi. L’intuizione è allora  fulminea: eccola, la scorgo. Seduta in prima fila,  l’Autonomia scolastica indossa  il suo vestito più prezioso: un’originale e  intrigante trama  di  didattica,  ricerca-azione, riflessività professionale, soggettività culturale passata al telaio dell’organizzazione.
La  vedo in prospettiva e la immagino accompagnata da uno stuolo di docenti operosi, in  sereno dialogo con i loro dirigenti scolastici. Né l ‘espressione degli uni, né la faccia degli altri sono segnate dallo stress, quell’immane fatica di apparire “primi”, di competere continuamente all’ interno e all’esterno della scuola, dimenticando il competitor vero con cui misurarci  senza snaturarci, ovvero noi stessi, e, quanto alla scuola, la propria  storia, la propria  identità, la propria comunità, le proprie Visioni. Presi da anglofonia chiamiamo queste ultime Vision, per dire sguardi prospettici e  lungimiranti,  spesso rifocalizzati, e, comunque, sempre sapientemente  coltivati e  piemamentr condivisi.

Vedo questa comunità dialogante e mi sorprendo a pensare alla ” Scuola di Atene”, dove, dall’alto della sua postazione vaticana,  500 anni orsono Raffaello faceva  con-versare  il Sapere. E.perché no, non  è forse  la Scuola l’Organizzazione  che  dispone, relativamente al suo personale, del   maggior numero di titoli di studio superiori e universitari? E perché dunque  essa non dovrebbe elaborare, oltre che trasmettere, cultura?
Guardo Berlinguer e, tra me e me anch’io esclamo… ” bellissima” !
E penso che da Capo Vaticano potrebbe essere…  tutto.

Potrebbe!… Perché  mi tocca ancora  dire  che in questo ventennale  dell ‘autonomia scolastica  bisognerà  di certo  parlare  ancora di “lei”. Magari  abbandonando quella modalità  reattivo- emotiva in cui  ci imbattiamo  sempre più spesso, volgendoci, viceversa,  ad analisi autenticamente critiche e intellettualmente  oneste. E magari anche abbandonando  lo stile “like”  per una più impegnativa opzione  critico-argomentativa. Perché, alla fine, credo sia anche questo che serve alla scuola e noi, gente di scuola, abbiamo il dovere di provarci.

Silvana Borgese