In questi giorni si parla moltissimo di Gaza, soprattutto dopo che la Flotilla in viaggio verso la Striscia è stata abbordata da Israele la scorsa settimana. Ci sono stati anche due scioperi a cui hanno partecipato moltissimi docenti e studenti.
Insomma, la questione è scottante. Ma i docenti dovrebbero parlarne a scuola e generare una riflessione? Secondo il docente e scrittore Enrico Galiano assolutamente sì. Ecco cosa ha scritto su Il Libraio: “A scuola facciamo un sacco di storia del passato. E certo: è utile per capire il presente, per leggerlo, interpretarlo. Ma il rischio è che poi il presente, quello vero, passi sotto silenzio. E ci sono volte in cui il silenzio diventa complicità. Quello che sta accadendo a Gaza è una di queste. Non parlarne in classe significherebbe dire ai ragazzi che questo dolore non ci riguarda, che queste immagini possono restare fuori dalla porta dell’aula. E invece ci riguardano eccome”.
“La scuola non è una bolla protetta: è il luogo dove si impara a leggere il mondo, anche quando il mondo fa male. Certo: è sbagliato dire loro cosa pensare. Però possiamo dare loro gli strumenti per vedere. Perché quando a un ragazzo vengono messe davanti le fonti, quando legge dati, testimonianze, cronache diverse, non c’è più scampo: non può non rendersi conto che si sta compiendo un crimine contro l’umanità. Parlare di Gaza a scuola non è propaganda. È il contrario: è studio serio, confronto tra versioni, capacità critica. È imparare che le parole hanno peso e che dietro ogni numero c’è un volto, una storia, una vita. È un esercizio di democrazia e, soprattutto, di umanità. Ora: come fare? Be’, uno strumento molto efficace per introdurre l’argomento sono i video divulgativi. Geopop e NovaLectio ne hanno prodotti diversi in questi due anni, tutti ben documentati e spiegati con linguaggio chiaro”, ha aggiunto.
“E poi, al lavoro.
Mostrare la cartina della Striscia di Gaza: 41 km di lunghezza, 10 di larghezza, più di 2 milioni di persone. Chiedere: che cosa significa vivere in uno spazio così ristretto?
Questo aiuta i ragazzi a concretizzare: non “un nome lontano”, ma un luogo reale, con dimensioni e numeri comprensibili.
Portare le cifre delle Nazioni Unite o di organizzazioni come Amnesty International, Unicef, Croce Rossa.
Ad esempio: numero di civili morti, bambini coinvolti, ospedali distrutti.
Farli tradurre in grafici, mappe, infografiche: la matematica qui diventa etica.
Far leggere la stessa notizia su testate diverse (due italiane di opposto orientamento, una israeliana, una araba, ad esempio Haaretz, Al Jazeera, La Repubblica, Il Giornale).
Chiedere: quali parole cambiano? Cosa viene messo in primo piano e cosa no? In questo modo non si insegna cosa pensare, ma come leggere criticamente.
Portare in classe testimonianze dirette: video-interviste ai civili, articoli di giornalisti sul campo. Ascoltare il racconto di un medico di Medici Senza Frontiere o di un operatore UNRWA.
Umanizzare la guerra significa ridarle un volto.
Mahmoud Darwish, il grande poeta palestinese, o Yehuda Amichai, poeta israeliano: due sguardi opposti, ma entrambi umani.
Leggere una poesia e chiedere: che cosa capiamo di più da un verso che da un numero?
Non ‘chi ha ragione?’ ma: quali emozioni vi suscita questa immagine? Che differenza c’è tra un comunicato militare e una testimonianza civile? Cosa cambia nella percezione se a parlare è un bambino, un soldato, un politico?
Nella mia esperienza, i ragazzi hanno fame di queste cose. Fame di attualità, di sapere, di capire. Non discutere di Gaza con loro significherebbe crescere generazioni disabituate a guardare in faccia l’ingiustizia.
E allora la vera domanda non è: ‘è giusto parlarne a scuola?’. La vera domanda è: che scuola siamo, se non ne parliamo?”, ha concluso.
“Chi si occupa di educazione non può rimanere indifferente quello che succede a Gaza. Noi abbiamo uno striscione oggi dove è scritto ‘Odio gli indifferenti’, perchè l’indifferenza uccide, di indifferenza si muore. I bambini stanno morendo: in Palestina 18.000 bambini mancano all’appello. La prossima generazione di palestinesi sarà mutilata, orfana”. Lo dice alla ‘Tecnica della Scuola’ Moira Aloisio, della Cub Scuola, nella giornata dello sciopero e delle manifestazioni in 75 piazze d’Italia per chiedere di fermare il genocidio a Gaza.
“La scuola non può essere estranea a una manifestazione di questo genere, sia dal punto di vista dei docenti che dal punto di vista degli studenti. Gli educatori. Chi si occupa di educazione non può rimanere indifferente a quello che succede. Noi abbiamo uno striscione oggi dove è scritto chiaramente ‘Odio agli indifferenti’. L’indifferenza uccide, di indifferenza si muore. La scuola non può non vedere quello che succede. I bambini stanno morendo: 18.000 bambini mancano all’appello. La prossima generazione di palestinesi sarà mutilata, orfana. Noi, come docenti, come educatori, non possiamo restare indifferenti a tutto questo”, ha detto.
Hanno entrambi un compleanno da festeggiare: più ‘pesante’ quello dell’Indire, che quest’anno compie cento anni,…
Ogni amministrazione, e soggetto in essa operante, ha l’obbligo di dare riscontro delle proprie azioni attraverso la rendicontazione. Obbligo…
Numeri e parole nascono dallo stesso gesto: contare, scrivere, dare forma al pensiero. Insegnarli come…
In un mondo in cui i ragazzi “guardano” tutto ma raramente “vedono”, il cinema a…
A volte sembra che nulla funzioni: spiegazioni chiare, attività curate, eppure la classe si spegne.…
Ogni insegnante sa quanto sia difficile tenere viva l’attenzione in classe. Tra distrazioni digitali, livelli…