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Harvard, l’alberghiero e l’ingiustizia sociale

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“Aveva il tono di uno che, titolare di cattedra ad Harvard, è stato incaricato di una supplenza all’alberghiero di Massa Lubrense”.
Questa è la frase della giornalista Concita De Gregorio​​ riferita a Mario Draghi che sta suscitando tanto scalpore.

Cosa c’è che non va in questa frase?
Forse non è veritiera, non è oggettivamente rispondente alla realtà?
Perché poi proprio Massa Lubrense, che è una bellissima cittadina sul mare? Questo per me rimane un mistero; spero che gli amici di Massa Lubrense, con il loro simpatico senso dell’ironia tipicamente campano, non se la prendano troppo a male!
Però purtroppo devo confermare che la frase contiene una parte di verità: io in un Istituto alberghiero ho insegnato, e insegno in un Istituto professionale, diciamo che qualche titolo per parlare ce l’ho, non fosse altro che per l’esperienza diretta maturata.
Non voglio fare l’indignato perché preferisco comprendere i motivi che spingono a fare certe affermazioni piuttosto che limitarmi a recitare la parte dell’offeso.

Dicevo che una certa dose di verità è presente in quella frase. Se si vuole argomentare in modo serio e veritiero non si può tralasciare questo aspetto.
È innegabile che mediamente le ragazze e i ragazzi che frequentano un Istituto professionale appartengono a fasce di popolazione meno abbienti e più svantaggiate sul piano socioeconomico; basta fare un confronto con le ragazze e i ragazzi che frequentano un Liceo classico per rendersi conto di tale disparità. Chi nega questo nega l’evidenza.
E questo è un problema che ancora nessuno è riuscito a risolvere né ad affrontare, neanche il governo Draghi con il suo inqualificabile ministro dell’Istruzione Bianchi.
È un problema importante perché è chiaro che la scelta della scuola non può e non deve essere influenzata dalle proprie condizioni socioeconomiche, ma solo dalle proprie attitudini e aspirazioni, e quando questa libertà di scelta è conculcata o limitata siamo in presenza di una grave e odiosa ingiustizia sociale.

Vorrei spendere qualche parola anche sul riferimento al professore di Harvard, prestigiosa, costosa ed elitaria università americana. Be’, certamente un docente di un Istituto professionale non insegna la fisica delle particelle subatomiche o la proprietà isoperimetrica dell’ipersfera nella classe degli insiemi aventi frontiera orientata di misura finita, ma un docente di un Istituto professionale conosce e sa gestire la fatica dell’insegnare in una classe difficile, la fatica e la soddisfazione di riuscire a costruire delle relazioni educative proficue con ragazzi problematici, sa assaporare il gusto della soddisfazione impagabile di portare un ragazzo al traguardo del diploma con successo.

Purtroppo sa anche che ci saranno tanto stress e frustrazione nel suo lavoro, quando si sentirà impotente di fronte a situazioni che divengono praticamente impossibili da gestire, o quando toccherà con mano fenomeni di dispersione scolastica, non leggendo aridi numeri in tabelle ministeriali, ma osservando impotente l’abbandono scolastico dei suoi alunni, proprio dei più fragili.

Non è semplice insegnare in un Istituto professionale cosiddetto di frontiera, e invece di fare della facile ironia sarebbe meglio pensare a misure che rendano più agevole e gratificante insegnare e apprendere in queste scuole.

In alcune di queste scuole vi è un turnover del personale docente spaventoso, perché molti docenti vanno in altre scuole appena possono, gli alunni hanno insegnanti diversi ogni anno, e spesso insegnanti alle prime esperienze, quando invece avrebbero bisogno di continuità educativa e didattica, avrebbero bisogno di insegnanti preparati ed esperti che li prendano al primo anno e li accompagnino con continuità fino al quinto.

Un vero e proprio disastro educativo che colpisce proprio le fasce della popolazione scolastica più fragili. È proprio il caso di dire che piove sul bagnato!

Bisogna intervenire, bisogna garantire continuità a questi ragazzi, è un loro DIRITTO, bisogna fare in modo che non ci sia differenza tra insegnare in un Professionale e in un Classico, bisogna fare in modo che non ci sia differenza tra studiare in un Professionale e in un Classico nemmeno sotto il profilo educativo.

Bisogna garantire continuità didattica, tempo scuola per il recupero, classi poco numerose, clima scolastico collaborativo, supporto psicologico professionale e continuo, insegnanti di sostegno, assistenti educativi, e ogni altra risorsa necessaria per eliminare tutte le disparità che possano far pensare che il Classico sia una scuola migliore del Professionale.

Purtroppo i responsabili dell’Istruzione nel nostro Paese, e certi esperti di pedagogia e didattica, preferiscono risolvere questi problemi semplicemente facendo finta che non ci siano, e non trovano niente di meglio da fare che dedicarsi all’invenzione di nuovi e inutili percorsi formativi per gli insegnanti, o pargoleggiare su quanto sia classista l’uso del voto numerico e quanto invece sia democratico l’uso del giudizio descrittivo, senza contare eccessi di superficiale ironia degna del peggiore bar di paese.

Mi chiedo se questi signori abbiano mai messo piede in una classe prima di Professionale a inizio di anno scolastico, se conoscano la fatica di insegnare a questi ragazzi e ragazze le regole base di rispetto reciproco, e di convivenza civile e cura relazionale nella comunità della classe scolastica, prerequisiti sostanziali e ineludibili di ogni attività di insegnamento.

Sì, un professore di Harvard, nonostante la sua smisurata competenza avrebbe difficoltà ad insegnare in un Professionale perché non è un lavoro facile, serve specifica competenza e tanta esperienza che si matura solo sul campo, quella che non ti può insegnare nessun manuale e nessun formatore.

Sì, probabilmente un professore di Harvard in un Professionale rimarrebbe indietro rispetto al suo piano didattico di lavoro, e non riuscirebbe a spiegare tutti gli argomenti previsti in una classe particolarmente difficile.

C’è poco da scherzare, e non è opportuno fare della facile satira: la frase di Concita De Gregorio forse non è lontana dalla realtà, forse è stata scritta in modo non completamente consapevole del suo significato implicito e più recondito, ma certamente è odiosa perché ci sbatte in faccia l’enorme carico di ingiustizia sociale che si porta dietro, ancorché coperto da un opaco strato di ironia che la lascia passare, ad una prima lettura distratta, con grande naturalezza come se nulla fosse!


Roberto Ippolito

Gruppo La nostra scuola 

Associazione Agorà 33

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