Alunni

Insegnare responsabilità è possibile: purché non sia insegnamento teorico, ma vivo esempio concreto

Quanto è alta la propensione dei più giovani riconoscere le proprie responsabilità e a pagarne le conseguenze? Non molto, almeno a giudicare dalle ricorrenti notizie sulla salute della Scuola. Il successo scolastico, che 50 anni fa era considerato un dovere del singolo studente, da circa un trentennio è stato tramutato in “diritto al successo formativo”. Mezzo secolo fa nessun genitore si sarebbe nemmeno sognato di piantar grane ai professori che avessero appioppato brutti voti e bocciature ai propri alunni: lo studente bravo «fa semplicemente il proprio dovere», si diceva; lo studente meno bravo «non ha voglia di studiare». Così sono cresciute — senza traumi eccessivi — almeno cinque generazioni di studenti dall’unità d’Italia ai primi anni ‘90, e nessuno se ne scandalizzava. Forse non a caso nel 1991 l’Italia salì al quarto posto tra le nazioni industrializzate dopo USA, Giappone, Germania e Francia.

Don Milani e donmilanismo di comodo

Poi divennero popolari le (giuste) critiche di don Lorenzo Milani alla scuola classista degli anni ‘60. Critiche sacrosante, ma presto fraintese da un donmilanismo di maniera (e di comodo), che ha fatto dimenticare — a sinistra come a destra — un grande insegnamento che don Milani stesso ripeteva: il maestro non può fare il bottegaio, perché il bottegaio asseconda i capricci del cliente, mentre il maestro deve fare il contrario. Diventar bottegai anziché maestri è un rischio molto presente oggi, quando i docenti vengono sospinti dall’ideologia del “successo formativo” ad accontentare tutti i capricci della cosiddetta “utenza”, per vivere tranquilli; dimenticando che il docente non è un “operatore” (e ancor meno un “diplomatore” a pagamento), e che il discente non è un “utente” (né tantomeno un cliente).

Milani scrive infatti anche (in La parola fa eguali): «Quando avete buttato nel mondo d’oggi un ragazzo senza istruzione, avete buttato in cielo un passerotto senza ali». Non si può fingere che un ragazzo abbia imparato, solo perché i genitori e il sistema vogliono regalargli un diploma senza sforzo: lo si getterebbe disarmato nel tritacarne del mondo del lavoro neoliberista.

Primo Maestro: lo sforzo della coerenza

Far della Scuola un mercato, porta a smarrire il senso stesso dello studio, dell’impegno, della responsabilità personale, traditi proprio da quanti la Repubblica democratica ha preposto a garanzia della valenza e della sopravvivenza di questi fondamentali valori.

«Si insegna ciò che si è, non ciò che si sa o si crede di sapere», diceva Jean Jaurès. Può pertanto insegnare la responsabilità personale solo chi, solido nelle proprie convinzioni etiche, le pratichi ogni giorno, nelle piccole cose come nelle più grandi. I docenti esistono per rimediare con la cultura alle sperequazioni sociali, dando a tutti i cittadini quelle conoscenze che possono cambiare la loro vita, e che rendono ognuno “competente” nel discernere il giusto e nel metterlo in pratica. Solo così la Scuola può mantenere il carattere di ascensore sociale che la Costituzione le conferisce.

Esempio di coerenza e responsabilità: far pagare il global warming a chi lo provoca

Oggi molti studenti (i migliori e i più studiosi, i più interessati all’attualità e alla conoscenza), sono giustamente preoccupati per il surriscaldamento globale, che rischia di travolgere le loro vite e quelle dei loro figli e discendenti. Da questi studenti viene talora la richiesta che gli adulti riconoscano le proprie responsabilità nei confronti del disastro ambientale. Anzi, gli studenti più avveduti sanno bene a qual categoria di adulti attribuire la responsabilità della crisi climatica, ormai tangibile quotidianamente.

Se ci sono pochissimi super-ricchi (che girano il mondo su yacht e jet personali di lusso), è chiaro che le loro responsabilità non sono le stesse dei 300 milioni di persone attualmente morenti di fame acuta. Eppure — come scrive l’organizzazione ecologista indipendente A Sud in una lettera aperta ai leader mondiali — «i maggiori inquinatori continuano a incassare miliardi senza pagare quasi nulla per i danni che causano». Ebbene, facendo pagar loro delle minime tasse di solidarietà, si potrebbe avviare il problema a soluzione, senza nemmeno intaccar troppo i loro immensi patrimoni.

Minime tassazioni sui profitti degli inquinatori possono salvarci tutti

I profitti di chi traffica in carbone, gas e petrolio sono astronomici: 2,7 miliardi di miliardi di dollari solo nel 2023! Astronomica anche la quantità di anidride carbonicache ne consegue: tre quarti delle emissioni globali. Basterebbe far pagare a lorsignori una minima tassa di cinque miseri dollari per tonnellata di CO2 per generare 216 miliardi di dollari annui da destinare alle energie rinnovabili, alla mitigazione del clima e all’adattamento. In Italia questa montagna di soldi potrebbe finalmente produrre il rifacimento degli acquedotti per l’eliminazione degli sprechi idrici.

Tassando dello 0,5% azioni e transazioni finanziarie, si otterrebbero altri 485 miliardi di dollari. Oggi i miliardari (quelli coi jet e i panfili privati) emettono coi propri investimenti tre milioni di tonnellate annue di carbonio; una minima tassa patrimoniale del 2% sui 3.000 soggetti più ricchi ridurrebbe le emissioni e frutterebbe 250 miliardi di dollari annuali.

Può l’umanità estinguersi per garantire i profitti di qualcuno?

L’organizzazione no profit internazionale Oxfam ricorda che «Nel 2019 l’1% più ricco per reddito della popolazione mondiale è stato responsabile di una quota di emissioni di CO2 pari a quella prodotta da 5 miliardi di persone (ossia due terzi dell’umanità)». Entro il 2030 1,3 milioni di persone (molte delle quali anche in Italia) moriranno per questo. «Chi fa parte dell’1% più ricco per reddito», aggiunge Oxfam, «inquina in media in un anno quanto inquinerebbe in 1.500 anni una persona appartenente al restante 99% dell’umanità».

I giovani migliori lo sanno, e noi adulti non possiamo tradirli

I giovani sono i primi a chiedere a noi adulti senso di responsabilità e coerenza, per poterci imitare. Non possiamo ignorare la richiesta di verità e di giustizia che ci viene rivolta dai giovani migliori: ossia proprio da quelli che siamo soliti elogiare per impegno, intelligenza, senso di responsabilità. Non sostenerli, negando che abbiano ragione, significherebbe contraddire l’educazione che cerchiamo di impartir loro, come genitori responsabili e insegnanti coerenti.

Alvaro Belardinelli

Articoli recenti

Indire 100 anni e CKBG 20 anni: riflettere sull’educazione digitale in Italia

Hanno entrambi un compleanno da festeggiare: più ‘pesante’ quello dell’Indire, che quest’anno compie cento anni,…

09/11/2025

La resa del conto giudiziale. Il Dirigente e i soggetti coinvolti: termini e procedura – GUIDA SCARICABILE

Ogni amministrazione, e soggetto in essa operante, ha l’obbligo di dare riscontro delle proprie azioni attraverso la rendicontazione. Obbligo…

09/11/2025

Italiano e matematica scuola primaria, numeri e parole sono collegati: il corso per i docenti

Numeri e parole nascono dallo stesso gesto: contare, scrivere, dare forma al pensiero. Insegnarli come…

09/11/2025

Cinema per la scuola, come insegnare il linguaggio cinematografico ai propri alunni? Gli spunti per docenti

In un mondo in cui i ragazzi “guardano” tutto ma raramente “vedono”, il cinema a…

09/11/2025

Come stimolare il cervello degli studenti? I suggerimenti per i docenti per non fare “spegnere” la classe

A volte sembra che nulla funzioni: spiegazioni chiare, attività curate, eppure la classe si spegne.…

09/11/2025

Strategie per migliorare l’attenzione in classe: come catturare gli alunni con lezioni efficaci?

Ogni insegnante sa quanto sia difficile tenere viva l’attenzione in classe. Tra distrazioni digitali, livelli…

09/11/2025