C’era da aspettarselo: la prevista reintroduzione del latino alle scuole medie – cioè dove c’era già una volta – ha sollevato, accanto al plauso di alcuni, il biasimo di molti, impauriti dall’idea che i loro figli e nipoti debbano impegnarsi troppo.
A chi sostiene che il latino è una lingua morta converrà ricordare che esso è la lingua della botanica, della zoologia, della giurisprudenza. E difatti chi non l’ha mai studiato e all’università sceglie queste discipline si trova in difficoltà a comprenderne la terminologia.
L’avversione al latino peraltro ha anche connotazioni politico-religiose. Tempo fa ho sentito un parlamentare della sinistra dire peste e corna della lingua di Cicerone, definendola “classista, borghese e confessionale, buona solo a perpetuare il potere dei padroni e della Chiesa”.
Saggiamente il prof. Burioni ne prende le difese, che estende anche al greco antico: non dimentichiamoci che la stragrande maggioranza della terminologia medica deriva proprio dalla lingua di Omero ed anche in questo caso i futuri dottori che non l’hanno mai vista possono trovare difficoltà nei loro studi.
L’ing. Giacosa, il creatore della Fiat Topolino e della successiva 500, affermava che la conoscenza delle lingue classiche gli aveva dato “un senso di misura ed equilibrio senza il quale non avrei potuto svolgere il mio lavoro”.
E scusate se tutto questo è poco.
Daniele Orla
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