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Le mode della scuola e la scuola delle mode

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Ricordo gli Anni Ottanta, intrisi di speranze, entusiasmo e ore di lavoro gratuito, indispensabili per costruire la Scuola di tutti. Docenti innamorati della Scuola ma schiacciati dal senso di colpa della “Sindrome inadeguatezza”. Qualsiasi problema delle alunne e degli alunni era colpa nostra, insegnanti inadeguati a porre in essere il verbo di sedicenti esperti, peraltro mai entrati in classe. Le promozioni aumentavano e, in misura direttamente proporzionale, aumentava l’impreparazione dei nuovi diplomati e laureati. Università con duecento iscritti in aule costruite per cinquanta ascoltatori, rigorosamente incardinate su lezioni frontali, pretendevano di insegnare come insegnare con metodologie d’importazione, ovviamente “alla moda”: cooperative learning, cyrcle time, role plaiyng, etc.

Nel frattempo scomparivano la competenza del saper scrivere, del saper presentare verbalmente un argomento, del saper far di conto. Poi arrivarono gli Anni Novanta, la Scuola-Azienda cancellò gli Esami di riparazione, in un’Italia berlusconizzata e anestetizzata da tette e culi catodici al malaffare e al dominio dei “furbi”. Nel frattempo, morivano per mano di amici degli amici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Il Duemila fu tragico: la mattanza della Scuola Pubblica, avviata dalla scolasticamente incompetente Letizia Moratti, si chiuse con il bagno di sangue di miss “Tunnel dei neutrini”, la oggi rediviva Mariastella Gelmini, peggior ministro dell’Istruzione cooptata dal sedicente “Governo dei Migliori”. Centottantamila licenziamenti tra docenti e Ata, nascita delle classi-pollaio, taglio delle ore di lezione.

Poi arrivò il secondo “Uomo della Provvidenza”, Mario Monti: distrusse le Autonomie scolastiche e i diritti costituzionali delle Minoranze linguistiche, e cancellò numerosi presidi e segretari. Oggi l’Istituto delle rilevazioni inutili, lancia un urlo di dolore sull’oceanica impreparazione delle studentesse e degli studenti. Il tracotante rappresentante della fondazione intestata a un “prenditore” di fondi pubblici, si arroga il diritto di processare maestre e professori d’Italia. In un Paese normale, direbbe l’omino coi baffi, verrebbe smentito immediatamente; in Italia, Paese di evasori fiscali, corrotti, pregiudicati candidati al Quirinale e pseudo-politici irrilevanti vocati alla menzogna, quell’individuo pieno di hybris ma scolasticamente incompetente, campeggia nelle prime pagine dei giornali del padronato.

Egli pontifica senza contradditorio sulle “colpe” di chi sta mandando avanti la scuola, nonostante il fardello del precariato, delle retribuzioni assai inferiori ai parametri degli stipendi europei e del pubblico disprezzo contro maestre e professori “impreparati e pelandroni”, provocato ad arte da politicanti ignoranti.

Le mode pedagogico-didattiche, neo-liberiste e para-moderne hanno distrutto la Scuola Pubblica e tarpato le ali a non poche eccellenze italiche, giustamente valorizzate all’estero. L’albero genealogico ha sostituito il “cursus honorum” scolastico nella certificazione del valore fasullo del pariniano “giovin signore”, primo nell’occupare indegnamente posti vitali nei gangli dello Stato e ultimo nel servire con dignità e onore la Repubblica Italiana.

La Scuola è stata soffocata dalle mode e le mode hanno forgiato malamente una scuola apparentemente nuova, incardinata su tre pseudo-principi moralmente, educativamente e didatticamente devastanti: lo studente non deve essere punito, mai; l’alunno merita la promozione dato che frequenta le lezioni, e anche quando le ostacola con tutti i mezzi illeciti a sua disposizione o decide che non meritino di essere frequentate; i genitori hanno sempre ragione e i docenti stanno sempre dalla parte del torto, considerato che i posti ubicati dalla parte della ragione risultavano già occupati da madri, padri e, ça va sans dire, gruppi WhatsApp.

Antonio Deiara