Michele Ainis, costituzionalista e scrittore
Michele Ainis, fra i più apprezzati costituzionalista italiani, su Repubblica dl 9 maggio, fa presente che, nonostante fra meno di un mese si andrà a votare per i 5 Referendum abrogativi, quasi tutti i media, a cominciare dalla Rai, tacciono per lo più o riportano notizie frammentarie, nella intenzione, ormai poco celata, di evitare che gli elettori si rechino alle urne per non raggiungere il quorum del 50% degli aventi diritto.
Lui dice che anche la scelta del secondo turno delle elezioni amministrative, che coinvolgono 461 Comuni, è stata studiata apposta perché “il primo turno, storicamente, è sempre più affollato”.
Tuttavia, il suo ragionamento, che gira attorno alla “ragion di stato” secondo cui ciascun partito, sulla base delle proprie necessità di bottega, inviti o meno gli elettori a recarsi alle urne, alla fine mantiene un vulnus che danneggia seriamente la democrazia.
Infatti, afferma: “dal 1997, con la sola eccezione dei referendum del 2011 per l’acqua pubblica e contro il nucleare, non si è mai più raggiunto il quorum. E 30 consultazioni referendarie sono saltate l’una dopo l’altra. Del resto, quando un elettore su due diserta ormai le urne, per i nemici del referendum non c’è più bisogno d’organizzare l’astensione”.
“Sicché- continua Ainis- va in scena la congiura del silenzio. Imbastita con il favore dei prefetti, artefici d’una circolare rivolta alle scuole e alle amministrazioni pubbliche, per vietare ogni attività d’informazione (in base alla distorta applicazione di una legge del 2000). E giustificata con l’ipocrita argomento di non voler interferire sulle scelte del popolo sovrano”.
Se per Ainis, “l’astensionismo elettorale costituisce il veleno della democrazia”, si dimentica pure da parte degli astensionisti che il loro invito è un pericoloso viatico per le giovani generazioni, per coloro che per la prima volta, la maggior parte ancora su banchi di scuola, si dovranno recare a votare, esercitando un diritto-dovere, sancito dalla Costituzione.
E dunque, se per un verso a scuola si studia “Educazione alla cittadinanza”, attorno a cui un po’ tutti i ministri all’istruzione hanno fatti riferimento, e il cui principio fondante è proprio l’esercizio della democrazia, compreso l’uso del referendum (la prima Repubblica fu infatti battezzata dal referendum del 2 giugno 1946), dall’altro, e in modo particolare dai poteri dello Stato, viene invece l’invito a disertare le urne, a fregarsene e al dovere civico preferire il mare e il sollazzo con Lucignolo.
Una contraddizione di termini che contribuisce a sbandare i nostri ragazzi, a smarrirli, a metterli in condizione di considerare la partecipazione alla vita pubblica e democratica una sorta di inutile perdita di tempo, negando, sul campo, il valore della voce popolare.
Democrazia è partecipazione, cantava Giorgio Gaber, come del resto tutta la tradizione liberal-democratica pretende.
E anche su questo versante, Ainis, conclude: “I nostri governanti s’appellano continuamente al popolo, ma sotto sotto ne hanno una gran paura”, perché se tutti, ma proprio tutti, aggiungiamo noi, si recassero a votare, anche nelle elezioni politiche, forse qualcosa di meglio si potrebbe pure ottenere.
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