Categorie: Politica scolastica

Primaria a 5 anni e obbligo fino a 18: Anief presenta la proposta a Palazzo Madama

Se si vuole fermare la piaga crescente sulla dispersione e sull’esercito di giovani che non studiano e non lavorano non c’è più tempo da perdere: si anticipi l’avvio della scuola 5 anni e si estenda l’istruzione dagli attuali 16 anni fino alla maggiore età. L’Anief ha deciso di presentare la proposta nel corso dell’audizione chiesta alla VII Commissione permanente (Istruzione pubblica, beni culturali) in merito all’esame del ddl n. 1260, relatore alla Commissione sen. Francesca Puglisi (PD), recante ‘Disposizioni in materia di sistema integrato di educazione e istruzione dalla nascita fino ai sei anni e del diritto delle bambine e dei bambini alle pari opportunità di apprendimento’.
Con l’emendamento ad disegno di legge, che ha come macro-obiettivo “l’estensione dell’educazione prescolare su tutto il territorio nazionale”, il sindacato intende passare ai fatti al fine di porre dei correttivi ad un sistema scolastico sempre più in crisi. Gli ultimi allarmanti dati sull’alto tasso di abbandoni precoci degli studi, dell’innalzamento della disoccupazione giovanile e dei Neet parlano chiaro. E anche gli ultimissimi numeri sui giovani tra i 15 e i 29 anni che non studiano e non lavorano: un “esercito” che si allarga di mese in mese, con oltre 2 milioni 250 mila giovani (il 24%).
La loro entità, ci dice l’Istat, dal 2008 è aumentata “del 21,1% (+391mila giovani)”. È un andamento di cui occorre preoccuparsi. L’incremento annuo già molto sostenuto nel 2009 e nel 2010, ha fatto registrare un consistente aumento nel 2012. Solo Grecia e Bulgaria presentano incidenze maggiori (27,1 e 24,7%) di Neet. In Italia la quota è infatti molto superiore a quella media dell’Ue27 (rispettivamente 23,9 e 15,9%). Rispetto ad alcuni paesi “vicini”, il confronto diventa quasi imbarazzante: Germania (9,6%), Francia (15,0%) e Regno Unito (15,4%). Anche la martoriata Spagna fa registrare una quota di Neet inferiore (22,6%).
In Italia il fenomeno è più spiccato al Sud: l’incidenza dei giovani che non studiano e non lavorano raggiunge il livello più alto, il 33,3% (contro il 17,6% nel Centro-Nord), ponendo in luce le criticità di accesso all’occupazione per un gran numero di giovani residenti nel meridione. Sicilia e Campania detengono le quote più elevate, con valori rispettivamente pari al 37,7 e 35,4%, seguite da Calabria e Puglia, con livelli pari al 33,8 e al 31,2%.
Anief torna a ribadire che a fronte di questi dati rimane incomprensibile come nell’ultimo quinquennio nel Mezzogiorno i Governi che si sono succeduti abbiano potuto operare i tagli maggiori al corpo docente di ruolo (fino al 18%) e non di ruolo (anche del 25%). I dati ufficiali indicano, infatti, una riduzione cospicua di insegnanti proprio nelle province del Sud: Frosinone, Matera, Avellino, Messina, Catanzaro, Cosenza, Potenza, Nuoro, Reggio Calabria e Isernia.
Attraverso l’emendamento al ddl, il sindacato chiederà quindi di adottare con estrema urgenza un rimedio radicale: anticipare a 5 anni l’inizio della didattica e ‘coprire’ tutti i cicli scolastici, sino al conseguimento del diploma di maturità, superando così l’obbligo scolastico oggi fermo a 16 anni. Con questo doppio passaggio si anticiperebbe la frequenza della scuola, ma senza incidere nella spesa dello Stato. Con una serie di indubbi vantaggi. Ad iniziare dalla riduzione di abbandoni.
Se i dirigenti di tutti gli istituti scolastici fossero infatti obbligati a far frequentare gli alunni, come avviene oggi nella scuola media e fino al biennio iniziale della secondaria, non ci ritroveremmo con le massime autorità dello Stato in materia di Istruzione pubblica che ammettono l’esistenza di un “problema drammatico soprattutto nel Mezzogiorno”, perché più di uno studente su dieci lascia proprio in quella fascia di età.
Obbligando i nostri giovani a frequentare la scuola fino alla maggiore età, quindi, si sposterebbe più avanti questo momento di “crisi”. Quando però la maggior parte dei nostri giovani avrà almeno in tasca il diploma di maturità. Mentre oggi (dati Censis) il 26% degli studenti iscritti negli istituti superiori statali al termine dei cinque anni non arriva a conseguire il titolo. Con le scuole del Sud che, ancora una volta, si ergono a leader negative: nella provincia di Napoli, ad esempio, negli istituti tecnici la percentuali di studenti che risultano dispersi nel quinquennio supera il 45%.
L’obiettivo è superare l’attuale legislazione sull’obbligo formativo, ridefinita dal decreto legislativo del 15 aprile 2005, n.76, art.1 e cioè come “diritto-dovere all’istruzione e alla formazione sino al conseguimento di una qualifica di durata almeno triennale entro il diciottesimo anno di età”: a distanza di quasi 10 anni dalla sua approvazione, questo modello debole di frequenza ha infatti dimostrato tutta la sua inefficacia.
“Portando l’obbligo scolastico da 10 anni a 13 complessivi – spiega Marcello Pacifico, presidente Anief e segretario organizzativo Confedir – , e anticipando a 5 l’inizio della scuola, si permetterebbe ai nostri bambini di poter essere guidati prima nella sempre più difficile gestione del flusso sempre più esteso di informazioni e stimoli esterni. Nel corso del tempo, ciò permetterebbe di agire su quel 36% di giovani che oggi decidono di non iscriversi ad un corso di laurea: più di 150mila ragazzi che ogni anno lo Stato dovrebbe preparare al meglio per il mondo del lavoro. C’è solo un modo per farlo: fargli frequentare, negli ultimi tre anni di scuola tra i 15 e i 18 anni di età, delle forme avanzate di alternanza scuola-lavoro. In tal modo, questi giovani si renderebbero più appetibili alle aziende, riducendo anche del 40% la possibilità che diventino disoccupati ed evitando che vadano ad ingrossare la già folta categoria dei Neet”.
Nel vecchio Continente l’obbligo formativo fino 18 anni è già previsto in diversi paesi: proprio per ridurre i tassi di abbandono precoce, oltre ad assicurare a tutti gli studenti un titolo di studio, in tredici paesi la durata dell’istruzione obbligatoria a tempo pieno è stata prolungata di uno o due anni, o perfino di tre come nel caso del Portogallo a seguito a recenti riforme. E anche l’inizio prima dei 6 anni è già ampiamente sperimentato con successo, visto che in dieci paesi l’istruzione obbligatoria è stata anticipata di un anno (o addirittura di due, come in Lettonia). E la partecipazione dei bambini di 3 anni all’istruzione preprimaria è ormai quasi totale in Belgio, Danimarca, Spagna, Francia e Islanda. Con paesi, come l’Ungheria, dove il corso di studi totale dura anche 13 anni: ben tre più dell’Italia.
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