«Tu desideri che io descriva la morte di mio zio affinché la trasmetta con maggiore veridicità ai posteri. Ti ringrazio, perché sono convinto che le imprese immortali meritino d’essere affidate all’eternità delle lettere» Plinio il Giovane (Lettere, VI, 16).
Del 79 d.C., quando la furia implacabile del Vesuvio seppellì, sotto un manto di coltre, cenere e lapilli, le città di Pompei, Ercolano e Stabia, riceviamo testimonianza dagli scritti dell’allora diciottenne Plinio il Giovane che, osservando il fenomeno apocalittico dalla costa di Miseno, consegnò, nella sua lettera a Tacito, forse il primo “post virale” della storia occidentale. Nipote dell’erudito Plinio il Vecchio, immerso in studi classici di retorica e nel culto della dialettica, il Giovane riporta l’evento, anni dopo, con stile puntuale, accurato, attento e commosso, mai melodrammatico, offrendone una descrizione vivida, quasi pittorica, incarnando l’ideale romano del testimonium veritatis. Nel suo racconto non è alcuna vanità, quanto il senso di responsabilità morale di chi è chiamato a custodire la memoria storica degli eventi, il desiderio di tramandare ai posteri la fedele verità di un disastro naturale dalle proporzioni epocali, inimmaginabili. Eppure, in lui, è una tensione moderna, narrazione del sé, l’io che osserva e documenta luoghi, persone, dettagli… con minuzia di particolari, al pari degli odierni creator digitali.
«Una nube – incerto, per chi osservava da lontano, da quale monte provenisse (in seguito si seppe che era il Vesuvio) – si innalzava: nella forma e nell’aspetto non si sarebbe potuta paragonare a nulla meglio che a un pino. Infatti, sollevata come da un altissimo tronco, si apriva in alto in rami… A tratti era candida, a tratti scura e macchiata, a seconda che sollevasse terra o cenere» (Ibidem).
Duemila anni dopo, giovani tik toker, mossi dal bisogno di dar voce agli eventi, inondano i social attraverso algoritmi. Cronaca, drammi epocali, catastrofi narrate all’istante a mezzo smartphone, raggiungono il pubblico in tempo reale; una testimonianza istantanea, una narrazione dal basso, tanto rapida quanto volatile.
Il giovane antico, colto, sobrio, figlio di una nobiltà in declino ma ancora intrisa di gravitas, apparentemente agli antipodi rispetto a un influencer contemporaneo; eppure entrambi documentano, raccontano, denunciano, emozionano. Analoghe le urgenze, diverse le forme: un testo per l’eternità quello di Plinio, strutturato nei contenuti, limato nella forma, scaturito dal silenzio e dalla riflessione, rivolto a un pubblico selezionato, all’élite colta del mondo romano; istantaneo quello dei tik toker, destinato all’oblio programmato dello scroll continuo, rivolto a milioni di utenti, potenzialmente all’intero pianeta, immerso nella logica della rapidità, spesso a sacrificio della profondità.
Tra memoria e attualità, riflettere sulla distanza tra antico e moderno, rileggendo gli scritti pliniani, comparandoli con gli odierni e algoritmici tik tok, educa alla pratica dell’ascolto, all’esame dell’oggettivo, alla responsabilità di chi narra; e insieme la paura, la perdita, la speranza, il bisogno di comprendere, il coraggio di raccontare: analogie che innalzano ponti tra generazioni, tra miti e sensibilità, tra i diversi stili e linguaggi dell’essere umano.
«Fortes fortuna adiuvat: audentes deus ipse iuvat» (Ibidem).
Nadia De Cristofaro
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