Non vedo altro luogo, altra istituzione, al di fuori della scuola, in cui i ragazzi possano attrezzarsi per interrogare, comprendere e scoprire sé stessi e il mondo. Così scrive Ivano Dionigi nel suo ultimo libro, “Magister. La scuola la fanno i maestri non i ministri”. Come riporta il quotidiano Avvenire che ne anticipa alcuni brani, il saggio, in libreria da qualche giorno, intende dimostrare che è solo nel rapporto tra maestro e allievi che si sprigiona il campo di energia dell’educazione.
Dionigi – professore ordinario di Letteratura Latina, già Magnifico Rettore dell’Alma Mater Studiorum Università di Bologna – spiega il termine che dà il titolo al suo saggio. Magister: parola latina emblematicamente carica di senso. Composta dal prefisso latino magis (“più”, che indica superiorità qualitativa) e dal suffisso greco -teros (che indica comparazione), significa il superiore, colui che sa di più e conta di più, e che si mette a confronto e in relazione con gli altri. Figura propria della lingua religiosa, oltre che giuridica e politica, il Magister designava il celebrante principale, assistito dal Minister (da minus e -teros), il celebrante in seconda, l’assistente, il servitore. Segno dei tempi: noi oggi abbiamo sostituito il rispetto per i maestri con l’ossequio per i ministri.
Interessante e graffiante notazione, quest’ultima, alla quale fa seguito la spiegazione del sottotitolo, mutuato da una frase di Manara Valgimigli, filologo classico, grecista e scrittore italiano vissuto tra la fine dell’Ottocento e la seconda metà del XX secolo: penso ai tanti maestri e alle tante maestre che insegnano ai nostri bambini e alle nostre bambine l’arte del leggere e dello scrivere: nelle periferie delle grandi città, negli sperduti paesi dell’Appennino, negli ospedali al capezzale dei piccoli ricoverati. Fanno il mestiere più bello, più importante, più misconosciuto del mondo.
Nel suo saggio, Ivano Dionigi immagina una scuola che sia al centro del dibattito politico, una scuola il cui ministro, come scriveva Platone nelle Leggi, sia il migliore dei cittadini, perché il legislatore non deve mai permettere che l’istruzione dei giovani diventi una questione secondaria o marginale. Il saggista sogna una scuola in cui coabitino informatica e storia dell’arte, inglese e filosofia, scienze applicate e latino, storia delle religioni e matematica, educazione civica ed educazione alimentare, ecologia e diritto, italiano ed economia.
Ma soprattutto una scuola che, confrontata alle nuove sfide, prima tra tutte quella con l’intelligenza artificiale, trovi negli studi umanistici un’alleanza naturale e necessaria, una scuola considerata come palestra dei fondamentali del sapere che non ascolti le sirene delle pedagogie facilitatrici, per non finire vittima di una malintesa idea di democrazia e di egualitarismo che rende deboli i saperi anziché forti gli allievi. Una scuola – conclude Dionigi – dove i professori non siano declassati a burocrati e umiliati a capoclasse ma riconosciuti economicamente e socialmente, per poter esercitare a pieno titolo la loro delicatissima e affascinante professione che li mette a stretto contatto con quella cosa tremenda e stupenda che è la vita dei giovani: che Erasmo considerava «il bene più prezioso della città» e che noi abbiamo degradato a “capitale umano”.
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