Nel 120° anno della sua fondazione, la Sip, Società italiana di pediatria, traccia una fotografia su come è cambiata l’infanzia italiana.
All’epoca, 120 anni fa, su circa 32 milioni di abitanti, coloro che avevano da 0 a 15 anni erano ben 11 milioni, oggi poco più di otto, ma la mortalità infantile era elevatissima.
Nel 1898 su 1000 bambini nati vivi ne morivano circa 240, oggi i decessi neonatali sono appena 2,9 su mille nati vivi, con l’Italia tra i Paesi al mondo con più bassi tassi di mortalità infantile.
La speranza di vita era di appena 35 anni, oggi è di 82,7, tra le più elevate al mondo. Circa 6 decessi su 10 erano dovuti a malattie infettive, mentre oggi queste morti sono quasi un ricordo e l’81% dei decessi infantili è dovuto a malformazioni congenite e infezioni perinatali.
All’epoca a proteggere i bimbi non c’erano né antibiotici né i vaccini(tranne quello del vaiolo, reso obbligatorio nel 1888). Una volta, poi, i bimbi venivano allattati al seno in modo prolungato ed esclusivo con conseguente malnutrizione e malattie come il rachitismo e lo scorbuto. Patologie all’opposto di quelle causate da troppe calorie, proteine e zuccheri, associate alla sedentarietà.
I bimbi poi non erano istruiti come oggi: per una svolta si dovette attendere la riforma Gentile del 1923.
“La Pediatria in questi 120 anni di storia si è evoluta da branca della medicina dedicata a una fascia di età a scienza dalla nascita per l’intera vita”.
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