Venuta a sapere che aveva impedito, insieme a due coetanei, ad un compagno di classe di entrare nel gabinetto, “non entri, sei una femminuccia, un gay”, la professoressa, Giuseppina Valido, docente di lettere in una scuola secondaria di primo grado di Palermo, come punizione per l’atto di stampo bullesco fece scriver al ragazzotto per cento volte sul quaderno “Sono un deficiente”.
La cosa non piacque ai genitori che si rivolsero al giudice per abuso di mezzi di correzione. Assolta dal Gup, il pm si appellò, arrivando a invocare la corte dei diritti dell’uomo a tutela del bambino punito. E così l’insegnante fu condannata prima a 14 giorni e in appello addirittura a un anno.
E tutto ciò nonostante la vittima di questo episodio, per giorni e giorni, secondo quanto riferiva il padre, sia rimasta traumatizzata, faticava a prendere sonno ricorrendo perfino all’ausilio di uno psicologo.
La Cassazione ora ha confermato la condanna riducendo la pena a 20 giorni escludendo l’aggravante delle lesioni. La donna si è sempre difesa sostenendo di avere utilizzato quella punizione dopo avere spiegato all’alunno l’etimologia del termine deficiente che indica l’assenza di qualcosa, nel suo caso di sensibilità.
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