Attualità

Al nido vanno soprattutto figli di ricchi, laureati e donne che lavorano

Far frequentare il nido al proprio bambino non è da tutti: in prevalenza, ad iscriversi ai nidi sono i figli di entrambi i genitori occupati, con un maggiore livello di istruzione e con un reddito più alto rispetto ai bambini che non frequentano. Ad incidere su queste scelte sono il costo elevato delle rette, insieme alle barriere all’accesso dovute alla scarsa possibilità di accogliere i bimbi fino a circa due anni e mezzo. Questo accade nonostante i contributi introdotti dallo Stato e da diverse Regioni, la maggior parte delle famiglie non se la sente (o più probabilmente non può permettersi spese così elevate, almeno 500 euro al mese) di portare il pargolo al nido.

I dati sono riportati dall’Istat nel Report sui servizi per la prima infanzia pubblicato in settimana.

È indicativo che nel 2021 il reddito medio equivalente delle famiglie che iscrivono i bambini al nido è stato di 19.800 euro, contro i 16.100 euro di quelle che non lo utilizzano.

Il rischio di povertà è tra le condizioni che limitano l’utilizzo del nido, creando una forbice di circa 10 punti percentuali rispetto ai nuclei che non vivono la stessa condizione sociale: basta dire che appena il 17,9% i bambini di 0-2 anni a rischio di povertà sono iscritti al nido, contro il 27,5% dei loro coetanei.

A creare una selezione all’ingresso del nido, che tende ad escludere le famiglie monoreddito, sono i criteri di accesso al nido pubblico, che privilegiano le famiglie in cui entrambi i genitori lavorano: i monoreddito sono “tendenzialmente meno abbienti e meno inclini a sostenere l’ammontare della retta nei nidi privati”.

Ma la condizione lavorativa della madre è la discriminante maggiore della frequenza del nido, infatti, i bambini con la madre lavoratrice frequentano nel 34,2% dei casi, contro il 12,9% dei bambini la cui madre non lavora.

Pure un più alto titolo di studio dei genitori garantisce ai bambini maggiori opportunità di accesso al nido: si passa dal 36,9% di frequenza nelle famiglie con almeno un genitore laureato (o con titolo superiore) al 16% per famiglie con al massimo il diploma di scuola secondaria superiore.

La lettura dei dati Istat sulle realtà di accoglienza dei bimbi fono a tre anni ha portato diversi addetti ai lavori a produrre commenti.

Secondo Irene Manzi, responsabile scuola del Pd, “sono aumentati dopo il Covid i posti nei nidi e servizi integrativi per la prima infanzia ma siamo ancora lontanissimi dagli obiettivi europei. Ci sono ancora troppi divari nell’offerta educativa”.

Il Partito democratico, spiega ancora Manzi, chiede “al governo un impegno maggiore nell’attuazione del Pnrr e risorse certe e progressive per aumentare l’offerta. Non si sta facendo abbastanza”.

Alessandro Giuliani

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