Categorie: Mobilità

Algoritmo e profili di responsabilità per danno da software difettoso

Molti chiedono di conoscere come ha funzionato l’algoritmo del MIUR che si è occupato di operazioni, affidate un tempo all’uomo, molto delicate per la collocazione e organizzazione delle risorse umane nel comparto istruzione. Una domanda legittima, alla luce degli errori che si sono verificati, peraltro riconosciuti anche se minimizzati da Viale Trastevere.

In realtà non è importante sapere come ha funzionato l’algoritmo, ma piuttosto come avrebbe dovuto funzionare. E qui non sembra molto difficile dare un riscontro perché è sufficiente analizzare la normativa per rispondere con completezza.

Il software doveva elaborare i dati e trattarli secondo quanto le norme prevedevano per la produzione degli effetti del reclutamento e dell’assegnazione dei posti nella mobilità territoriale. Vero è che da un’analisi attenta delle norme appaiono dei vuoti normativi che hanno riguardato sia la fase del reclutamento che quello della mobilità e che i programmatori del software non potevano ovviamente risolvere e su cui,  il MIUR in quei casi avrebbe dovuto mettere mano “conciliando”, perché si tratta di un errore della macchina “scusabile”.

Il danno invece che si è materializzato nei casi in cui non c’è corrispondenza fra le norme e il modo in cui dovevano essere applicate dall’elaboratore è cosa diversa e dal punto di vista delle responsabilità va affrontato non superficialmente perché lo stesso MIUR dovrebbe avere interesse a capire cosa sia successo.

Ed infatti, esclusa la responsabilità penale del produttore di software perché nel nostro ordinamento non vi sono norme penali richiamabili a questi casi rientranti nella categoria dei crimini informatici che puniscano fatti considerati dannosi o pericolosi a titolo di “colpa” ma solo in forma dolosa, ovvero con la consapevolezza dell’azione e di tutti gli elementi che compongono una fattispecie penalmente rilevante, la questione pone problemi molto complessi. Intanto è opportuno richiamare i casi di responsabilità per danni da software.

Il primo esempio che ci viene in mente è quello del commercialista  che presenta una denuncia dei redditi errata a causa di un software rivelatosi difettoso che ha prodotto sanzioni pecuniare e tasse per il cliente. Il professionista risponderà davanti al cliente ma potrà in via di regresso rifarsi nei confronti dell’azienda che ha programmato il software difettoso.

Il discorso potrebbe estendersi al caso della P.A. che si avvale dei servizi informatici di un terzo, naturalmente. Quanto alla prova del difetto e del danno si pone il problema di come identificare l’anomalia che non dovrebbe essere difficile nel caso sia riproducibile l’attività svolta, ovvero ripetere la stessa operazione lasciando immutato l’ambiente in cui si è operato (archivi e banche dati)  per accertare dove si è verificato l’errore. Se i risultati che si ottengono sono con gli stessi errori, ciò potrebbe servire non solo ad individuare cosa ha causato gli errori ma anche ad escludere l’eventuale intervento manuale di altri soggetti. Eventualità che se dovesse presentarsi aprirebbe questioni molto delicate. 

Fabio Guarna

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