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Autonomia e libertà sono le chiavi per aprire le scuole

Le scuole italiane sono chiuse per troppi mesi, in più che negli altri Paesi Europei. Ogni volta le istituzioni promettono di aprirle in sicurezza, ma poi si richiudono a seconda dell’andamento dell’epidemia o delle opinioni dei Governatori regionali. Come dire che le scuole sono lasciate in balia della virulenza del virus o dei disaccordi tra le istituzioni, non si è voluto o non si è riusciti a garantirne l’autonomia funzionale rispetto agli eventi esterni di tipo pandemico o burocratico.

Eppure anche nelle giornate più infauste hanno continuato a funzionare le istituzioni e le realtà ritenute necessarie come gli ospedali, i supermercati, varie aziende di servizi e prodotti indispensabili. Per queste realtà si sono trovate le soluzioni organizzative ed igieniche in grado di compensare i rischi per gli operatori con le necessità ineludibili. Se ne può dedurre che, forse, occorreva valutare meglio l’importanza dell’istruzione e il danno psicofisico conseguente in caso di chiusura. Le scuole dovevano essere comunque aperte, salvo chiusure momentanee in vista di una riapertura tempestiva e in maggior sicurezza.

Anche quanti hanno perseguito testardamente l’apertura delle scuole non hanno raggiunto lo scopo, soprattutto per gravi fraintendimenti nell’individuare i mezzi e procedure adeguate, soprattutto non hanno avuto il coraggio di prendere di petti i tabù ideologici, culturali e corporativi che tengono in ostaggio da sempre le scuole italiane.

Hanno fatto affidamento agli ingenti investimenti economici, all’acquisto abbondante di sussidi tecnologici e logistici, soprattutto all’illusione che si potesse, con disposizioni amministrative centralizzate, gestire efficacemente l’organizzazione di tutte le scuole italiane, che sappiamo quanto mai differenziate per la propria organizzazione, per la posizione geografica o per i contesti socio-culturali in cui sono poste.
Si è fatto leva sulla quantità di risorse, la qualità dei sussidi, l’agibilità degli edifici, trascurando il dato più importante che la scuola non è un ufficio, né una struttura, ma è anzitutto comunità di allievi, docenti, genitori, solidali e responsabilizzati nel perseguire il miglior servizio educativo, possibile in data situazione specifica.

Non si è avuta fiducia nelle persone, nella loro creatività e dedizione per il bene dei ragazzi e la speranza di futuro, garantendo loro effettiva autonomia didattica, organizzativa e finanziaria, sancita da anni nelle leggi e trascurata anche questa volta nella pratica.
Uno spiraglio in favore dell’autonomia lo si poteva trovare nell’accenno fatto al Patto educativo di Comunità, che suggeriva la mobilitazione di tutte le realtà formative e istituzionali del territorio, ma è rimasto un auspicio senza seguito né il sostegno di adeguati interventi economici e organizzativi.

Nel Patto per la scuola vi sono affermazioni indubbiamente incoraggianti ed appropriate come le seguenti: “Per la più ampia realizzazione del servizio scolastico gli Enti locali, le istituzioni pubbliche e private variamente operanti sul territorio, le realtà del Terzo settore (Associazioni e Cooperative) e le scuole (statali e paritarie), possono sottoscrivere PATTI EDUCATIVI di COMUNITA’ in una logica di massima adesione al principio di sussidiarietà e di corresponsabilità educativa… Tutte le componenti della Repubblica fortificano l’alleanza educativa, civile e sociale di cui le istituzioni scolastiche sono interpreti necessari, ma non unici… È altresì indispensabile una collaborazione di studenti, docenti e famiglie, nel contesto di una responsabilità condivisa e collettiva”.

Con il concretizzarsi nell’aggiornamento del “Patto Educativo di Corresponsabilità” ricalibrato in una forma maggiormente rispondente alle nuove esigenze culturali di condivisione tra scuola e famiglia”.
Auspici, che sono destinati a rimane tali se non si ha il coraggio di affrontare i nemici storici e ostinati dell’autonomia delle scuole, che si annidano nella burocrazia, gelosa del proprio potere e nelle corporazioni, prigioniere nel conflitto tra l’interesse degli allievi e quello degli operatori, tutte insensibili nei riguardi della qualità del servizio e del futuro del Paese.

Giuseppe Richiedei

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