Non sono ammessi schiaffi a scopo educativo in classe, né qualunque “strumento che faccia leva sulla violenza, pur orientata a scopi educativi”.
Lo chiarisce la Cassazione nell’occuparsi del caso di una maestra calabrese che era stata condannata dalla Corte d’appello di Catanzaro a due mesi di reclusione, oltre al risarcimento dei danni, per abuso dei mezzi di correzione nei confronti degli alunni.
La Cassazione, pur disponendo un appello bis relativamente al trattamento sanzionatorio (è stata applicata una pena superiore al minimo edittale), ha decretato l'”irrevocabilità della responsabilità penale” dell’insegnante che a volte dava “scappellotti agli alunni, o tirava loro i capelli con forza sottoponendoli anche a violenze psicologiche (la minaccia dell’arrivo del diavoletto) di fronte al rifiuto dei bambini di cantare per due ore”.
Ma la Suprema corte ricorda che “ai fini della valutazione della condotta deve tenersi conto che nel rapporto tra insegnante e bambini affidate alle cure assume predominante rilievo il profilo educativo, rispetto al quale il bambino deve essere considerato non destinatario passivo di una semplice azione correttiva ma titolare di diritti, a cominciare da quello alla propria dignità, che implica in ogni caso un’azione svolta a realizzare l’armonico sviluppo della sua personalità”
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Anzi, “proprio a fronte della peculiare qualità del destinatario del comportamento, deve considerarsi preclusa qualunque condotta che assuma in concreto il significato dell’umiliazione, della denigrazione, della violenza psicologica, oltre che della violenza fisica”. La Cassazione a questo proposito dice che “è stato posto in luce come i bimbi nei cui confronti erano state tenute le condotte segnalate avevano manifestato reazioni anomale, consistite nel rifiuto di recarsi a scuola, nel rifiuto di mangiare, nell’insonnia e nell’enuresi”.
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