“Il criterio dell’anonimato nelle prove scritte delle procedure di concorso – nonché in generale in tutte le pubbliche selezioni – costituisce il diretto portato del principio costituzionale di uguaglianza nonché specialmente di quelli del buon andamento e dell’imparzialità della pubblica amministrazione, la quale deve operare le proprie valutazioni senza lasciare alcuno spazio a rischi di condizionamenti esterni e dunque garantendo la par condicio tra i candidati”.
Lo ha stabilito il Consiglio di Stato, con sentenza n. 5571/2018, con la quale i giudici hanno dato ragione alla commissione di un concorso pubblico che aveva escluso dalla procedura di selezione una candidata, in quanto, durante la valutazione degli elaborati, la busta contenente le sue generalità era risultata non chiusa.
L’esclusione dell’appellante è stata ritenuta legittima per motivi di garanzia dei principi dell’anonimato e della par condicio dei candidati nella procedura concorsuale. La busta contenente le sue generalità era infatti incontestabilmente risultata aperta ed è stato considerato irrilevante che il bando di concorso non sanzionasse espressamente con l’esclusione tale evenienza.
Per i giudici, inoltre, non è importante che la ricorrente abbia intenzionalmente o meno reso riconoscibile la prova, essendo l’apertura della busta contenente il suo nome e cognome (non causata da un semplice cedimento della colla) all’atto della correzione dell’elaborato comunque suscettibile di alterare il principio dell’anonimato.
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