Nella mia scuola, qualche anno fa, ho fatto mettere i crocefissi anche nelle aule che non ce l’avevano. Non per una motivazione confessionale, ovviamente, ma per una culturale, simbolica, valoriale. Sapendo, comunque, che così prevede ancora oggi la normativa. Ed ho cercato di coinvolgere tutti in questo tipo di lettura, dialogicamente.
Cosa vuol dire per motivazione culturale? Mi vengono in mente, a tal proposito, belle riflessioni da parte di tante persone di cultura non legate al mondo cristiano-cattolico. Penso qui, per tutti, a Natalia Ginzburg, alla fine degli anni ottanta: “Il crocefisso non genera nessuna discriminazione. Tace. È l’immagine della rivoluzione cristiana, che ha sparso per il mondo l’idea dell’uguaglianza fra gli uomini fino allora assente. Non conosco altri segni che diano con tanta forza il senso del nostro umano destino”.
Ora vedo che questa stessa lettura viene fatta propria dalla Cassazione (leggi la notizia).
Non potrebbe esserci la nostra storia culturale tutta (letteraria, artistica, storica, filosofica, anche scientifica, ecc.) senza il riferimento a questo simbolo e alla storia simbolica ed esistenziale dell’occidente. Un simbolo, ad esempio, che, di rimando, dice di una libertà che va esercitata in positivo. E non in negativo, come è di moda in alcuni anche oggi. E chi volesse privilegiare la libertà in negativo, quella che porta all’egocentrismo, lo può fare solo perché c’è la libertà in positivo che glielo permette. Paradosso esistenziale.
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