Attualità

Difficile combattere i pregiudizi sull’alternanza scuola-lavoro

Sempre difficile.
In un dibattito mi sono ritrovato con una obiezione, da parte di qualche docente, che in realtà non è nuova: cosa c’entra l’alternanza scuola-lavoro con i licei?
Oggi non si chiama, in verità, più alternanza, ma Pcto, cioè percorso per le competenze trasversali e l’orientamento. Una definizione un po’ fumosa, come piace a noi italiani.
Le scuole stanno faticando non poco in queste settimane per programmare, al triennio delle superiori, questi “percorsi”, secondo un numero minimo di ore, che, per i licei, sono almeno novanta in tre anni, compresa la diretta esperienza nei vari mondi del lavoro di due o tre settimane alla fine del quarto anno scolastico.
Facile immaginarla la risposta, verrebbe da dire, a quella domanda.
È una cosa per gli istituti tecnici e professionali, ma per i licei?
Ed io a ribattere: paradossalmente oggi vale più per i licei, proprio perché licei.
Questa domanda, scontata sino a pochi anni fa, oggi, lo possiamo confessare, va ripensata.
Perché quando parliamo di lavoro non ci riferiamo solo ad una data professione, ma, prima ancora, ad una cultura, ad una sensibilità, anche ad una duttilità e adattabilità. Perché non ci sono sono più cordoni ombelicali scontati tra titoli di studio e mondo del lavoro.
La scuola sta dunque cambiando, nelle persone, nelle proposte, nelle strutture. Più che nei percorsi scolastici, divisi per indirizzi e singole materie, per il modo di affrontarli, e poi per una serie di proposte integrative che stanno moltiplicando possibilità e opportunità. Non c’è più, cioè, la scuola liceale che io ho frequentato negli anni settanta. Per fortuna.
Il “saper fare”, in poche parole, e non solamente il teorico “sapere”, è entrato a tutto tondo nella scuola, anche in quella liceale. La via maestra si chiama appunto alternanza scuola-lavoro.
L’alternanza è insieme un progetto culturale ed esperienza concreta, diversamente dai vecchi stage, che potevano ridursi, solamente, nelle fotocopie in qualche ufficio. Con l’alternanza è, invece, la cultura del lavoro, intesa come orientante la vita e le scelte dei nostri giovani. In una scuola non più considerata un’isola staccata dalla realtà, ma parte integrante, perché fucina di presente e di futuro per le giovani generazioni.
Una delle conseguenze è la modifica della didattica. Pensiamo solo al fatto che tutte le classi terze delle superiori devono ripensare programmi e programmazioni.
In gioco vi è la significatività, visto il contesto attuali, delle stesse proposte culturali presenti nelle,programmazioni didattiche.
Una bella svolta.
L’avvicinamento, la presa di contatto, con tutte le realtá del mondo del lavoro è avvenuto a piccoli passi, ma è avvenuto.
Le scuole, attraverso delle convenzioni, stabiliscono i percorsi formativi e le modalità di traduzione all’interno delle aziende, degli studi professionali, degli enti locali, delle tante facce del lavoro oggi. Tutor scolastici, da un lato, e tutor aziendali, dall’altro, assieme sono chiamati a costruire queste strategie educative. Per fare un esempio, in un laboratorio di analisi, in uno studio di progettazione, in una azienda, in un museo, ecc., ad ogni studente viene data la possibilità di mettere a profitto attitudini, passioni, sensibilità, conoscenze, interessi, nel rispetto dei ritmi e dei contesti che ritrova in un determinato mondo del lavoro.
L’educazione al lavoro intesa, però, non come istruzione per una specializzazione da spendere subito, ma anzitutto come strumento di ricerca di se stessi, in linea con le condizioni e le opportunità che si ritrovano nei diversi campi della vita sociale. Il vero orientamento scolastico. Proprio per questa ragione, l’alternanza, paradossalmente, si sta rivelando più utile ed interessante nei licei, che negli istituti tecnici e professionali, già allenati a questo raccordo col mondo del lavoro, mentre nei licei sembra una terra lontana, mentre lontana non è. Ecco il valore aggiunto.

Gianni Zen

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