Categorie: Attualità

Ecco perché bisogna studiare la Storia del 900 per intero

Lo studio della Storia a scuola, legato anche a quello degli autori in Letteratura italiana, è senz’altro fra i più dibattuti fra gli insegnanti.

Per quanto riguarda la Storia, ci si lamenta spesso che gli studenti al quinto anno non riescono a studiare in modo completo ed approfondito il 900, secolo proprio dedicato agli studenti dell’ultimo anno.

Molti fanno notare che oltre le due guerre mondiali, difficilmente si arriva ad approfondire nelle scuole altri temi ed eventi. E, come se non bastasse, l’istituzione del liceo breve, non farebbe altro che incentivare una lettura frettolosa e superficiale degli eventi storici del 900, almeno secondo alcuni non favorevoli al liceo breve.

Su Repubblica.it c’è un contributo di Umberto Gentiloni che parla proprio del problema: “La conoscenza storica soffre la distanza dai quotidiani processi di apprendimento delle generazioni nate nel nuovo tempo del digitale segnate dall’incombenza del presente, dalla forza di un flusso continuo che non prevede coordinate spazio temporali e non ammette altre dimensioni che non siano rapide e immediate a portata di cellulare e di accesso wi-fi.
Voci autorevoli hanno declinato la dialettica irrisolta tra opportunità e rischi, tra connessioni tecnologiche e nuove o antiche alienazioni evidenziando i pericoli che il Novecento possa rimanere un segmento sconosciuto e lontano, una sorta di incerto terreno da frequentare con cautela, magari attraverso i tortuosi sentieri della memoria o le emozioni collettive di anniversari più o meno istituzionali.”

Per Gentiloni non basta lo sforzo dei singoli docenti: “molto ricade sulle spalle degli insegnanti (spesso eroi del nostro tempo), sulla loro capacità di interagire, innovare, cercare nuove sintonie con mondi in continuo mutamento. Ma c’è una responsabilità di altro genere che investe chi prende le decisioni o segnala opzioni all’orizzonte senza che il riformismo delle cose possibili abbia lo spazio per essere valutato, confermato o smentito. Non è un caso che la bella traccia dell’ultimo tema di maturità sul miracolo economico abbia interessato circa l’uno per cento degli studenti italiani. Un dopoguerra sconosciuto mentre la centralità del Novecento si rafforza allontanandoci dalla presunta conclusione del secolo breve”.

Chiamando in causa anche un articolo in merito di Alberto Asor Rosa, Gentiloni va ad indagare le ripercussioni e le ricadute in merito alla dimenticanza della Storia del Novecento:

1. Tutti gli indicatori e gli studi sulle modifiche del mercato del lavoro sottolineano la necessità di privilegiare una formazione trasversale, flessibile, interdisciplinare capace di tenere insieme linguaggi e punti di vista. Una formazione di base non può che valorizzare l’incontro tra musica e fotografia, storia e matematica, fisica e filosofia, scienze e letteratura, storia dell’arte e filologia in un elenco che potrebbe essere molto più ampio.

2. La ricchezza e la complessità degli approcci può contribuire a sconfiggere le paure del nozionismo diffuso, l’idea pervasiva che la conoscenza del passato sia un insieme arido e immobile di date, personaggi, battaglie e confini da custodire nel migliore dei casi in un armadio o in un hard disk. Il metodo storico procede per interpretazioni, giudizi, problemi che vengono rimessi in discussione da nuove acquisizioni e nuovi interrogativi. Del resto come si può parlare di compatibilità ambientali, effetti climatici, Mezzogiorno, stabilizzazioni o conflitti, sistemi elettorali, migrazioni, religioni, Mediterraneo o Medio Oriente senza volgere lo sguardo indietro?

3. Lo studio del Novecento prevede (meglio sarebbe dire avrebbe dovuto prevedere) una più generale ridefinizione dei diversi segmenti del sistema formativo. Se alcuni argomenti o periodi vengono affrontati ripetutamente nel passaggio da un livello all’altro (dalle elementari alle medie, dalle medie alle superiori) altri vengono sacrificati. Tema che coinvolge in pieno i percorsi universitari nel ridimensionamento progressivo degli studi sull’Ottocento, persino sulla grande cesura della Rivoluzione francese: nei programmi e nei corsi un tempo sospeso tra età moderna e contemporanea che fatica a trovare la rilevanza che meriterebbe”.

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Fabrizio De Angelis

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