Categorie: Politica scolastica

Fondi per combattere la “povertà educativa”: un’occasione

Il governo ha inserito nella legge di stabilità uno stanziamento di 400 milioni, di cui cento messi dalle Fondazioni ex bancarie, che saranno investiti nel corso del triennio 2016/18, tramite bandi, in progetti proposti da organizzazioni del Terzo settore e istituti scolastici, anche in partnership con altre organizzazioni, per contrastare la povertà educativa.

Povertà educativa che è il problema cruciale per le sorti di un Paese, almeno come una malattia invalidante.

Da anni, scrive Il Velino.it, il premio Nobel per l’economia James Heckman ha dimostrato che “le disuguaglianze presenti nel rendimento professionale lungo il ciclo di vita sono dovute a fattori che intervengono fino all’età di diciotto anni e se un bambino viene motivato presto ad apprendere e a impegnarsi, è più facile che da adulto possa riuscire bene nella vita sociale ed economica. Inoltre, se la società aspetta a intervenire i costi per rimediare al futuro svantaggio accumulato saranno maggiori”.

Quella che emerge dai suoi studi è un’indicazione radicale da cui le politiche di investimento in capitale umano non possono prescindere.

Povertà educativa non significa solo povertà economica, ma povertà di vita, di opportunità a compiere il proprio cammino di uomini.

I dati raccolti dalla Ong Save the Children e diffusi in questi giorni sono significativi: il 48,4% dei minori tra 6 e 17 anni non ha letto neanche un libro nell’anno precedente al di fuori di quelli scolastici, il 69,4% non ha visitato un sito archeologico, il 55,2% non è mai entrato in un museo, il 45,5% non ha svolto alcuna attività sportiva. Ci sono pezzi di mondo intorno ai nostri ragazzi che sono a loro preclusi. Perché?

Gli osservatori hanno giustamente associato i dati sulla povertà educativa a quelli sulla povertà economica, anche se il nesso tra le due dimensioni andrebbe meglio indagato. In particolare è tutto da dimostrare che in un Paese come l’Italia la povertà economica sia più la causa che l’effetto di quella culturale.

Ma non solo studiosi di caratura internazionale dopo lunghi anni di indagine sono giunti alla conclusione che il fattore che impatta maggiormente sull’apprendimento è la qualità degli insegnanti.

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Anche di questo bisognerà tener conto quando si tratterà di decidere come spendere quei soldi e di fronte alla resistenza tutta italiana a farsi valutare.

Gli studi di Ludger Woessmann hanno messo in luce altri fattori decisivi nel determinare la qualità degli apprendimenti: la valutazione dello studente oggettiva e comparabile e l’autonomia delle scuole nel determinare gli stipendi dei docenti, nelle scelte finanziarie e nella determinazione dei programmi. (…)

Per questro è importante che questo soldi stanziati abbiano un effetto dirompente sulla qualità dell’istruzione

Pasquale Almirante

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