Se le prime informazioni sul Piano nazionale della formazione saranno confermate, c’è da prevedere la sollevazione dei sindacati e forse anche dei docenti.
Al momento, infatti, si parla di aggiornamento permanente e obbligatorio (è esattamente ciò che prevede la legge 107) ma dal Ministero precisano anche che l’attività formativa non fa parte delle cosiddette “40+40”.
Messa in questi termini la questione è davvero poco chiara, perchè l’orario di servizio dei docenti è definito dal contratto nazionale ed è formato appunto dall’orario di cattedra, da 40 ore per le attività collegiali e da altre 40 per attività connesse con la funzione docente.
Questa è la situazione allo stato attuale dei fatti e delle norme ed è facile prevedere che una eventuale forzatura del Ministero per far diventare obbligatorio l’aggiornamento al di fuori dell’orario definito dal contratto potrebbe incontrare ostacoli piuttosto seri.
Non è chiaro peraltro quale meccanismo si possa mettere in atto per “obbligare” 750mila docenti a lavorare oltre il proprio orario di servizio.
Senza considerare un altro problema connesso: l’aggiornamento professionale del docente non si riduce mai a mero addestramento; per il docente cioè non si tratta semplicemente di apprendere l’uso della LIM o le possibili definizioni pedagogiche del termine competenza.
Aggiornarsi dovrebbe voler dire anche modificare i propri atteggiamenti e i propri comportamenti e forse persino i propri valori (basti pensare a temi come l’integrazione, l’inclusione, la cittadinanza, solo per citarne alcuni): e, come si sa, atteggiamenti e valori non si cambiano per “obbligo di servizio”. E dunque non è detto che il docente che aggiorna perchè è costretto a farlo (e per di più al di fuori del proprio orario) diventi automaticamente un insegnante migliore.
Anzi, un obbligo del genere potrebbe diventare un boomerang per l’amministrazione senza contribuire al miglioramento del nostro sistema scolastico.
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