Il vero problema, secondo gli studiosi, sembra riuscire a convincere i ragazzi che fumare non è ‘In’, bensì ‘Out’.
“E’ vero che in certe zone il battage antifumo è sicuramente servito a rendere il ‘vizio’ meno popolare, ma nella maggior parte dei casi non è così”, avverte Thomas Valente, docente di medicina preventiva alla Keek School of Medicine dell’University of South California, a capo del team di ricerca.
Oltreoceano, per esempio, ci sono gruppi etnici più fragili di altri. Non è un caso che lo studio abbia interessato alcune scuole di Los Angeles a netta prevalenza di ‘latinos’. Ma già indagini precedenti, su campioni diversi di giovani, avevano prodotto risultati analoghi.
Valente e colleghi hanno chiesto a 1.950 studenti se avevano mai provato a fumare e, se sì, quante volte avevano fumato nell’ultimo mese. Hanno anche chiesto ai ragazzi quale pensassero fosse il giudizio dei loro coetanei sul fumo, se i loro amici fumassero e chi fossero i loro 5 migliori amici. La frequenza con cui veniva citato un nome è stata considerata dai ricercatori come un indice di popolarità.
Dalle interviste è emerso che fumava più di un teenager su 4 del primo anno di scuola superiore (25,6%), dato che saliva a quasi 3 su 10 al secondo anno (28,1%). Gli studiosi hanno inoltre confermato che l’opinione del gruppo dei coetanei sul fumo pesava sulla decisione o meno di provare la sigaretta, e che i ragazzi più popolari del ‘branco’ avevano molte più probabilità di essere fumatori.
“Il giudizio del gruppo dei pari è fortemente associato all’abitudine dei ragazzi al fumo”, commenta Valente, confessandosi “sorpreso di quanto fosse consistente il legame” tra gradimento presso i coetanei e tendenza a sposare il vizio. Per lo scienziato, questi dati dovrebbero far riflettere le mamme e i papà che spingono la prole alla leadership: “I genitori che sognano di avere un figlio popolare tra i suoi amici, tengano presente che la notorietà ha a un prezzo”. Che si paga anche con la salute. (Adnkronos)
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