Politica scolastica

I COBAS: la Scuola dell’Infanzia esige ben maggiori attenzioni e investimenti

La Scuola dell’Infanzia statale è stata istituita con la legge n° 444 del 1968 e le è stata riconosciuta una funzione educativa che rispondeva ad un orientamento nazionale, mentre in passato era in balia delle gestioni private,  per lo più cattoliche, e con una netta caratterizzazione socio-assistenziale. Dal ‘68 ad oggi, è stata attraversata da diverse riforme che vanno dal Decreto Ministeriale del 1991 “Orientamenti  dell’attività educativa nelle scuole materne statali”, al Decreto Ministeriale del 2012 “Indicazioni nazionali per il curricolo della scuola dell’infanzia e del primo ciclo d’istruzione”. Gli “Orientamenti” hanno avuto un’impostazione altamente pedagogica prefigurando una scuola nella quale i/le bambini/e avrebbero imparato ad apprendere mediando con una cultura pedagogica e didattica indicante le finalità educative e i mezzi per il perseguimento. Si è così delineata un’Istituzione per le/i bambine/i dai 3 ai 6 anni, quando avvengono apprendimenti efficaci e duraturi, sviluppando l’identità, le competenze e l’avvio alla cittadinanza. La Scuola dell’Infanzia è il luogo della prima alfabetizzazione emotiva, culturale e sociale dove il gioco, l’esplorazione, l’ascolto, la libertà di espressione, il movimento ne costituiscono i connotati. Le attività didattiche vengono strutturate in relazione ai campi di esperienza (il sé e l’altro – il corpo e il movimento – i discorsi e le parole – immagini, suoni, colori – la conoscenza del mondo) che rappresentano i saperi disciplinari e gli stimoli per il potenziamento delle funzioni esecutive.

Le scuole si organizzano in sezioni omogenee o eterogenee per età. L’orario è stabilito in 40 ore settimanali o, se limitato al solo mattino, in 25. Di norma, con un minimo di 18 e un massimo di 26 alunni/e per sezione anche se è possibile arrivare fino a 29 e a 20 in presenza di alunno con disabilità., con un tempo scuola flessibile e disteso, libero da ansie valutative, e con tempi rispettosi delle varie identità. Il tempo pieno, inoltre, garantisce maggiori opportunità e ricchezza formativa. La cooperazione, la solidarietà, l’inclusività, l’interagire con il gruppo dei pari e con le figure adulte con regole condivise, rendono questa scuola un modello unico di convivenza democratica. L’educazione all’affettività non può essere materia da insegnare a scuola in un’ora a settimana, come propone il governo, perché i sentimenti,  le emozioni, le sensazioni, la loro percezione sono il cardine sostanziale della Scuola dell’Infanzia.

Ciò nonostante, permane la non obbligatorietà alla frequenza e all’iscrizione. Basti pensare che, nell’attuale spot televisivo del Ministero per le iscrizioni scolastiche, non è nemmeno menzionata, a riprova della scarsa consapevolezza del valore educativo e formativo di questo ordine scolastico, che risente ancora di una connotazione assistenziale i di custodia. Risultati internazionali OCSE-PISA sulle competenze in lettura e matematica rilevano che i bambini/e che hanno usufruito dei servizi per l’infanzia ECEC ottengono risultati scolastici migliori. Nel rapporto EURYDICE “Cifre chiave sull’educazione e la cura della prima infanzia in Europa” si evidenzia che “Investire nell’educazione fin dai primi anni di vita rappresenta un “bene comune”, un indicatore di successo scolastico che è una variabile strategica per incrementare i livelli culturali e di istruzione della popolazione”.

La generalizzazione, principio fondante della scuola democratica, si sintetizza nel garantire la frequenza per tutti a livello nazionale, costituendo un investimento per coloro che saranno i/le cittadini/e della società futura. È nota la diffusione ridotta della Scuola dell’Infanzia in alcune aree del Sud, dove l’offerta del tempo pieno è minima, con la conseguenza di una scarsa occupazione femminile, dovuta anche alla mancanza di servizi per l’infanzia. In alcuni paesi hanno già adottato un potenziamento della Scuola dell’Infanzia rendendola obbligatoria (Olanda, Belgio, Slovacchia, Romania, Grecia, Polonia).

In Italia sarebbe necessario rendere obbligatorio l’ultimo anno della Scuola dell’Infanzia non equiparandolo ad un “anticipo” della primaria, la cosiddetta “primina”. Una tale riforma ridurrebbe anche le disuguaglianze territoriali, contrasterebbe la povertà educativa e favorirebbe l’occupazione femminile, in contrasto con l’ “autonomia differenziata” che invece aumenterebbe il divario tra Nord e Sud, visto che la Scuola diventerebbe “regionale” e le Regioni deciderebbero autonomamente su programmi, strumenti e risorse. Le/i  bambine/i  con tutto il personale vivono spesso in aule fatiscenti, l’accesso ai servizi psico-pedagogici e di neuropsichiatria infantile pubblici sono di fatto negati a causa delle liste di attesa, e le “classi pollaio” impediscono qualsiasi proposta didattica e laboratoriale efficace. Mancano presidi infermieristici e pediatrici in istituti comprensivi che ospitano anche più di 1000 alunni e  fondi per il materiale didattico (i genitori forniscono anche la carta igienica). Rivendichiamo dunque l’obbligatorietà per l’ultimo anno di frequenza, la cura e la bellezza dei posti che viviamo, per una scuola pubblica della Repubblica che sia laica, multiculturale e gratuita per tutti i/le bambini/e che vivono in questo Paese.

Cristina Ardito e Beatrice Corsetti – Docenti Scuola dell’Infanzia di Roma

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