Una ventina di giudici del lavoro, con regolare sentenza, hanno bloccato i trasferimenti dei professori che da Sud dovevano recarsi al Nord e tutte fondate sul fatto che “le maestre sono state scavalcate da colleghi con punteggi più bassi in graduatoria: e così a loro è stata assegnata una sede in Friuli o in Veneto, agli altri la scuola sotto casa”.
Il Corriere della Sera riporta in primo piano la questione degli algoritmi con cui il ministero dell’Istruzione, nell’assegnare i punteggi, avrebbe compiuto diversi errori: il Miur ne ha ammessi- e conciliati- 3 mila- ma secondo i sindacati sono almeno 6 mila quelli avvenuti realmente.
E a chi non sapeva come fare per evitare di partire, pur avendo a casa figli piccoli e mille difficoltà, non è rimasta che l’arma legale.
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«L’assegnazione di una sede distante oltre mille chilometri dal Comune di residenza determinerebbe una totale modifica delle abitudini di vita, anche personali e familiari», scrive il Corriere riportando la sentenza del giudice di Brindisi che ha deciso di lasciare a casa la «madre di tre ragazzi che necessitano, per un corretto e armonioso sviluppo della personalità, in una fase delicata della crescita, della presenza quotidiana della figura materna, che, evidentemente, non potrebbe essere garantita nel caso di trasferimento in Veneto». E le sentenze si somigliano tutte: data la «illegittimità del provvedimento di destinazione», il giudice stabilisce che le docenti non partano, per evitare ricadute pesanti sulla «organizzazione della vita familiare».
Tuttavia ancora qualcuna di loro non sa ancora quale sarà il suo destino: l’Avvocatura dello Stato ha presentato per conto del Miur un reclamo, che verrà discusso l’8 novembre in sede collegiale e se dovesse avere ragione, e avere finalmente una sede vicino casa, gli uffici scolastici interessati saranno costretti a rivedere le cattedre.
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