L’uso continuo “di un tono di voce alterato” in classe con gli alunni “costituisce un mezzo lecito di correzione” ed esprime il potere “di disciplina che ciascun insegnante è chiamato a esercitare ai fini educativi e nel rispetto della personalità dei propri alunni”. Lo scrive il giudice delle indagini preliminari Manuela Accurso Tagano nell’ordinanza, riportata dall’Ansa, con cui è stato archiviato il caso di una maestra di una scuola primaria di Milano denunciata nel febbraio dell’anno scorso dai genitori di una bambina per abuso di mezzi di correzione in quanto, hanno sostenuto, l’atteggiamento della docente, a loro avviso “aggressivo”, avrebbe creato uno “stato d’ansia” nella figlia, già fragile, “compromettendo anche il rendimento scolastico”.
Secondo il giudice – che ha rigettato l’opposizione della coppia alla richiesta di archiviazione avanzata dalla Procura – “l’utilizzo occasionale” di appellativi come “ridicola” non può essere considerato denigratorio in “assenza di reazioni di riso da parte dei compagni”.
Per il gip, quindi, la “notizia di reato è infondata”, poiché il comportamento tenuto in classe dall’insegnante, una supplente poi messa in ruolo dalla scuola, è “espressione del potere di correzione” e non consente “in nessun modo” di rilevare “la sussistenza di violenze verbali e fisiche”.
Alla fine dello studio delle posizioni, il gip ha condiviso la tesi del pm Giovanna Cavalleri secondo la quale “l’utilizzo di voce alterata, con espressioni non violente e comunque assistite da volontà didattica” non va ritenuta una “condotta abusiva dei mezzi di correzione”.
Il giudice, inoltre, ha ritenuto non appropriata la decisione dei genitori di fornire “alla bambina un registratore da attivare nei momenti in cui” la maestra si sarebbe mostrata “violenta e aggressiva (…), condizionando in tal modo l’atteggiamento della fanciulla nei confronti della vicenda”.
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