Il misconoscimento del lavoro dell’insegnante come aspetto particolare del generale “difetto etico” della nostra società.

Negli ultimi giorni, l’on. Capua di Scelta Civica ha rilasciato alcune esaurienti dichiarazioni, che hanno come oggetto o, piuttosto, come obiettivo polemico, i docenti: “Penso che nessun lavoratore abbia così tanti privilegi”. Per l’ennesima volta ci troviamo dinnanzi ad un identikit sbagliato dei docenti, che manda questi ultimi su tutte le furie, perché non c’è una volta in cui si parla in modo corretto di loro… in effetti, ciò sta diventando raro.
L’Onorevole ha, appunto, dichiarato che i docenti sono i lavoratori più privilegiati, ma se solo lei avesse voluto tenere un pò in considerazione il vero, avrebbe dovuto prima riflettere su cosa “oggi come oggi” effettivamente può essere riconosciuto ed etichettato come “privilegio”, e così avrebbe intuito che di tale termine se ne fa un uso appropriato solo se riferito all’occupazione che mantiene lussuosamente lei e quelli come lei.
Così, queste dichiarazioni colpiscono i docenti misconoscendo la complessità del lavoro che attualmente svolgono, che è una complessità tout court, dispiegatesi da ogni punto di vista, in particolare da quello didattico-educativo (che vede sempre maggiori esigenze da soddisfare all’orizzonte) e da quello di trasmissione culturale delle conoscenze altamente specializzata (frutto di lunghi anni di studio e altrettanti anni di pratica, e ciononostante in continuo aggiornamento); quindi, tali dichiarazioni misconoscono un dato essenziale: che il lavoro del docente non è solo quello che vediamo svolgersi a scuola, durante l’orario scolastico, ma è altresì quello che non è sotto gli occhi dei più, cioè quello che si svolge a casa, nell’orario extrascolastico, dedicato a ri-pensare sempre e in modo innovativo in che modo porgere i contenuti agli alunni, al fine di aiutarli a forgiarsi come uomini consapevoli di sé e delle proprie potenzialità, che un domani, da adulti, potranno esplicare, realizzare e mettere al servizio della società.
In poche parole, si tratta del misconoscimento del valore insito nel lavoro che impegna a tutto tondo il docente nel quotidiano. È questo che fa rabbia, ai docenti stessi, e anche coloro che, come me, aspirano a diventarlo, dopo un percorso di studio universitario al termine di cui ci si sente interiormente chiamati ad offrire agli altri quanto si è imparato, quanto si ha dentro, per aiutare a “crescere”.
Queste dichiarazioni hanno provocato in me tali riflessioni, che ho voluto condividere perché ci si convinca che un difetto etico pian piano sta dilagando nel nostro Paese, in ogni suo assetto, e che nel caso dei docenti porta a guardarli non più con gli occhi di chi onora e rispetta. Ciò è dimostrato, altresì, dal fatto che vediamo sempre meno affermare concretamente e in modo incontrastato il valore dell’Istruzione, ritenuto forse non più così tanto importante da essere protetto come fondamentale “requisito” per la vita, per il futuro, ma, piuttosto, come meramente “penalizzabile” in vari modi, da ogni parte, e all’occorrenza.
Ma l’ottimismo non deve mai soccombere a causa di coloro che si pongono proprio questo come obiettivo principale, non deve mai arrendersi, deve “resistere” trovando sempre nuove soluzioni, ossia deve tradursi in una “sfida”, una “sfida etica”, la sfida di agire insieme per vedere rifiorire grazie finalmente ad intelligenti e costruttivi ri-pensamenti e proposte l’assetto dell’Istruzione (e di chi lo mantiene concretamente in vita…), contro i veleni che ne minacciano attualmente l’esistenza.
 
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