Ho visto il recentissimo report Istat Livelli di istruzione e ritorni occupazionali. Da esso, come dai precedenti report di Eurostat si evince che in Italia ben 517.000 giovani tra i 18 e i 24 anni che hanno abbandonato gli studi dopo aver al massimo conseguito un titolo secondario inferiore, sono fuori da qualsivoglia percorso di istruzione o formazione. Sono numeri davvero preoccupanti, anche se in lieve diminuzione. Per la cronaca, in Europa solo in Spagna e Romania i dati sull’abbandono sono peggiori dei nostri.
Con ovvia ricaduta negativa sull’occupazione. Sono infatti proprio i giovani con i titoli di studio più bassi (uno su sette non è in possesso di diploma superiore o qualifica professionale) ad avere difficoltà a trovare lavoro (ci riesce solo uno su tre) e a sperimentare con maggiore frequenza una prolungata condizione di Neet.
I dati territoriali evidenziano poi che al Sud il 39% dei giovani non lavora e non si forma, contro il 23% del Centro Italia, il 20% del Nord-Ovest e il 18% del Nord-Est.
Altro dato da considerare è che i Neet sono per il 56% donne.
Non vi è dubbio che proprio le condizioni occupazionali degli early school leavers rappresentino, come ricordano giustamente Camilla Borgna ed Emanuela Struffolino (si veda il report “Le condizioni occupazionali degli early school leavers” in Italia), “un nodo di debolezza” del sistema formativo del nostro Paese.
Un nodo di debolezza che il nuovo Esecutivo non può non mettere tra le proprie priorità.
Maurizio Braggion
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