Uno degli aspetti fondamentali della vita scolastica degli alunni è il momento della valutazione, in quanto rappresenta la tappa finale di un percorso di insegnamento e di apprendimento, ma è anche un momento di autoanalisi per il docente che si sente responsabile del processo formativo degli allievi e del raggiungimento degli obiettivi che si era prefissato.
Se gli obiettivi sono stati raggiunti è un successo per alunno e docente; in caso contrario è una sconfitta.
Un tempo il voto aveva il suo enorme valore e rappresentava un elemento di autoanalisi per l’alunno che aveva appreso e per il docente che aveva trasmesso i suoi saperi e le sue conoscenza.
Ora, invece, a scuola si applica il metro di valutazione spesso non corrispondente a vero. I voti reali che gli alunni hanno conseguito durante un intero anno scolastico al termine della scuola subiscono una crescita esponenziale con buona pace dei Dirigenti scolastici che devono certificare agli Organi competenti che gli obiettivi sono stati pienamente conseguiti e, a questi, con altrattanta buona pace dei genitori che vedono pienamente promossi i propri figli.
Quindi perché continuare ancora a valutare a scuola, se poi questo parametro non è più obiettivo? Perché accusare sempre gli insegnanti se l’alunno non si impegna, non studia, non ha voglia di apprendere.
Non è solo colpa degli insegnanti, ma di un intero sistema che fa acqua da tutte le parti e che non trovando giustificazione, cerca di individuare nel docente il capro espiatorio. Se l’insegnante fa credere cinicamente all’alunno che è bravo, provoca gli fa un male.
E cosa può fare il docente se il sistema non gli permette una valutazione obiettiva, si adegua per non combattere contro i poderosi mulini a vento ed essere tacciato di incompetenza, di pressappochismo, di svolgere male il suo lavoro?
Mario Bocola
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