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Insegnanti italiani all’estero: “Stanno privatizzando tutto”

Terminano i concorsi pubblici per reclutare gli insegnanti italiani all’estero per affidare a enti privati, finanziati dallo stato italiano, la selezione dei professori da far lavorare per i corsi di lingua italiana all’estero. Questo sembra il rischio reale che i tanti aspiranti insegnanti (all’ultima selezione si sono presentati in 22.000!) all’estero corrono.
Attualmente il sistema di istruzione all’estero, pubblica huffingtonpost.it, prevede quattro grossi settori: le scuole pubbliche italiane all’estero, i corsi di italiano (nati per i figli degli immigrati, ma oggi frequentati anche da studenti che vogliono imparare l’italiano), le scuole europee (in cui le disponibilità di posti sono indicate direttamente da norme dettate dall’UE) e i lettorati di lingua italiana presso università straniere (per i quali ogni università stipula degli accordi con lo stato italiano).
Negli anni il contingente statale di insegnanti e personale ATA all’estero si è progressivamente e inesorabilmente ridotto. L’anno 2004/2005 prevedeva 1104 persone; questa cifra è stata tagliata dal Ministro Tremonti di 59 unità. Successivamente con la Spending Review il Governo Monti ha tagliato i posti disponibili del 41%, facendo in modo che il contingente si sia ridotto a 594 unità.
“Questo non significa che lo stato italiano abbia chiuso scuole, corsi o lettorati”, afferma la professoressa Fabrizia Mariconda all’Huffington Post. “Significa solamente che le persone che vi insegnano non sono inviate dall’Italia, non hanno superato né concorsi né prove di selezione linguistica, ma sono pagate con i fondi che il MAE destina agli enti gestori”.
Le fa eco la collega Anna Rita Sordo: “In questo modo si è generato un risparmio irrisorio, solo sulla carta. I cittadini italiani non ne hanno alcun beneficio. Inoltre, e non ultimo, il MAE ha così operato tagli per la quota che gli spettava in base alla Spending Review, solo sul personale scolastico e non su altri capitoli di spesa che vedono spese enormi”.
Il mondo della scuola, coi sindacati, si sta muovendo contro questo nuovo provvedimento che sancisce la conclusione del controllo dello Stato italiano sul personale che divulga e insegna l’italiano all’estero. Tuttavia, secondo il professore Salvatore Tornaquindici, non si sta facendo abbastanza: “Il mondo della scuola è estremamente variegato e comprende situazioni lavorative molto diverse tra loro!”, annuncia all’Huffington Post. “Quello che stiamo cercando di far capire ai nostri colleghi è che nelle scuole e nei lettorati all’estero si sta sperimentando quella che viene definita ‘la chiamata diretta’ da parte dei Dirigenti Scolastici, particolarmente avversata da tutti i docenti, e contraria ad ogni norma, legge o CCNL”.
Ancora più netto il giudizio del professore Remo Omar Cinquanta sulla questione: “Questo emendamento contiene elementi preoccupanti di discrezionalità. Se approvato si tornerebbe di fatto ad una ‘ri-privatizzazione’ delle stesse ovvero a quell’anarchia di reclutamento e contrattuale superata con la legge 604/82. Si metterebbe la parola fine all’intero sistema scolastico statale italiano all’estero voluto dal legislatore come facente parte integrante del nostro sistema scolastico nazionale tanto da inserirlo nella Parte V – Scuole Italiane all’Estero – del Testo Unico sulla Scuola (D.Lgs 297/94). Gli insegnanti utilmente collocati nelle graduatorie permanenti devono costituire l’ossatura del personale docente nelle scuole italiane all’estero. Se questa legge fosse approvata, non sarebbe più così”.
Gli insegnanti d’italiano all’estero si sentono così traditi da MAE e MIUR che stanno tagliando senza mezze misure i posti disponibili, cambiando solamente le voci di spesa in bilancio, garantendo fondi a enti privati e centri linguistici piuttosto che ai professori selezionati tramite concorso pubblico. “Senza questo collegamento il contesto delle istituzioni scolastiche italiane all’estero sarebbe assolutamente slegato e privo di quella italianità e di quelle competenze necessarie a garantirne la qualità e il successo”, afferma il docente Salvatore Fina. “Senza dimenticare che le scuole statali italiane all’estero sono appunto statali e conseguentemente sottoposte ad un regime giuridico/costituzionale che non può essere superato da un codicillo inserito in una norma di carattere generale”.
Cambia molto anche economicamente per gli insegnanti impegnati all’estero. Se fino a oggi il loro stipendio ammontava grossomodo a due e volte e mezzo di quello che avrebbero percepito in Italia, con la chiamata diretta si va incontro a una contrattualizzazione diversa di paese in paese, di ente in ente. Si introducono così forti elementi di differenziazione normativa, economica e salariale tra il personale impegnato nelle realtà scolastiche all’estero.
Chiamata diretta, posti quasi impossibili da raggiungere e poche chance di essere assunti. Il mondo dell’insegnamento all’estero rischia di essere stravolto. E non basta lamentarsi, incontrare il Ministro Carrozza o lanciare petizioni su Change.org.
I professori interpellati chiedono l’intervento della politica per essere tutelati: “Oggi assistiamo assolutamente allibiti al fatto che con un articoletto si vuole ritornare all’anarchia delle chiamate dirette e incontrollate, che non tengono conto né della ricerca delle competenze né della natura statale delle scuole. Tutto ciò è inaccettabile. Noi chiediamo che la politica riprenda in mano la situazione e intraprenda un processo riformatore nella prospettiva di portarci a livelli europei”.

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