All’apertura delle scuole, nell’ottobre del 1955, il primo numero de L’Espresso ospitava un autorevole intervento: “Scrive un vecchio professore; della scuola ha qualche esperienza, come studente, insegnante, padre e infine ministro della Pubblica Istruzione. E’ quest’ultima che conta meno: la scuola la si vede, com’è veramente, attraverso i propri alunni, i colleghi, i figli. E’ il vecchio professore, che da quando è nella scuola sente parlare sempre di crisi della scuola, non crede di scoprire nulla di nuovo”.
La lunga lettera prosegue con una disamina dello stato delle scuole e dell’insegnamento in Italia dalle elementari all’Università e conclude affermando: “Non dico cosa nuova quando ripeto che, a parte tipi, programmi, edifici, sempre importanti e necessari, l’elemento fondamentale della scuola è l’insegnante, al quale è affidata così grave responsabilità. Grandi responsabilità e grandi doveri verso di essi hanno la società e lo Stato per la preparazione spirituale e professionale e per trattamento giuridico ed economico, doveri che trovano limiti nelle possibilità”.
La firma è di Antonio Segni, più volte ministro, divenuto poi il quarto Presidente della Repubblica.
A distanza di sessanta anni, un altro vecchio professore, che ha vissuto la scuola come studente-lavoratore, come padre, come insegnante, come preside e infine come ispettore scolastico, ora a riposo, nel condividere il convincimento della gravosa e importante responsabilità degli insegnanti nella scuola, constata e si duole del perdurare dei “limiti delle possibilità” ogni qual volta si affronta il problema del trattamento economico della categoria.
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