La Buona Scuola, lo School Act prossimo venturo e la discussione che è ora necessaria

Vogliamo chiamarlo SCHOOL ACT? L’agile nome inglese- al posto del termine pesante “riforma della scuola”-, che potrebbe anche essere adottato per la legge prossima ventura sulla scuola, ben testimonierebbe la volontà di non fare la ennesima ( inutile o finta) riforma, ma di fare quella riforma che nessuno aveva mai fatto prima. Una riforma vera che “rottama” le riforme finte o i tagli finanziari veri, etichettati come “riforma della scuola”. Nessun problema se le cose stanno davvero in questo modo. Il mondo della scuola che aspetta questo da tempo immemorabile, avrebbe solo da festeggiare. Io, personalmente, sto attendendo una legge del genere da quasi trenta anni, da quando cioè insegno in una scuola media superiore.

Ma vorrei essere sicuro che l’ eventuale SCHOOL ACT possa essere davvero una buona legge e che risponda alle aspettative diffuse nel mondo della scuola, degli studenti, oltre che dei docenti, nonchè degli interessati, degli “stakeholders” tanto per usare un termine alla moda. C’è un modo- credo- efficace per cercar di capirlo.

Si è svolta, da settembre a novembre, una ampia consultazione del mondo della scuola e dei suoi “dintorni”. Mi pare che nessuno lo avesse fatto prima. Cittadini singoli, docenti e no, associazioni varie e collegi dei docenti hanno risposto all’appello e inviato le loro considerazioni, compilando questionari o stilando documenti. La consultazione però non è una discussione. Non c’è ancora stata alcuna discussione pubblica che abbia consentito di articolare ipotesi diverse, opposte o complementari.

Ancora non c’è stato, diremmo, alcun “uso pubblico della ragione”. Se ne sono poste solo le premesse. E’ il momento di passare davvero alla discussione. Presentare ora la consultazione come l’ unica forma possibile di partecipazione pubblica al processo legislativo sarebbe semplicemente adottare il concetto “bonapartista” del potere che identifica la democrazia con la pura consultazione dei singoli cittadini, tra di loro isolati, sulle questioni selezionate dal potere.

La logica della democrazia costituzionale vorrebbe invece che la partecipazione civica si fondasse su una una discussione pubblica in cui si possono articolare le posizioni diverse per far sì che il vero sovrano, il Parlamento, possa prendere decisioni fondate ed anche costruire compromessi alti.

Sicuramente il Miur avrà raccolto una enorme quantità di materiali e di opinioni, anche di grande rilievo sociologico e, forse, storico . Rendere pubbliche queste opinioni e, ad esempio, pubblicare subito tutti i documenti dei collegi dei docenti, e magari anche delle associazioni professionali (oltre che dei risultati dei questionari predisposti ad hoc) sarebbe una grande operazione di ricostruzione civile e di trasparenza democratica che premierebbe, magari non subito, coloro che l’hanno suggerita, aumenterebbe l’efficacia dell’iniziativa ed in parte, forse, contribuirebbe a indebolire persino le critiche rivolte da taluni alle modalità della consultazione, ritenute poco democratiche.

Non fare questo e invece proporre una legge a tamburo battente sarebbe dare ragione ai più accaniti critici del governo. Passare dalla consultazione immediatamente alla legge, saltando la fase della pubblica discussione, sarebbe la conferma più drammatica di questo. A che cosa sarebbe servita allora la consultazione? Ovvia la risposta. Se potessi rivolgermi direttamente ai Ministri, chiederei loro di mettere subito online i documenti e di promuovere la discussione nel paese e nel Parlamento. Questa sì che sarebbe la “rottamazione” dei vecchi metodi ! Da quella discussione, se vera, potrebbe nascere davvero una buona legge sulla scuola, una legge che risponda cioè alle attese più profonde del paese.

Chi può avere paura della voce dei cittadini, della maggioranza reale dei docenti o dei cittadini? E’ vero, la democrazia deve decidere, deve smetterla di prolungare artificiosamente i suoi tempi, solo per non decidere mai. Il trucchetto va smontato. Ma c’è un altra faccia della medaglia. La deliberazione democratica ha bisogno anche di tempo. La democrazia ha una sua architettura del tempo, che non si può scardinare, se non si vuole favorire la demagogia o la dittatura dei “tecnici”, entrambe madri-matrigne delle peggiori delle leggi possibili. Un paio di mesi, tre mesi, per una discussione del genere non creerebbero problemi a nessuno. Togliere il tempo alla democrazia è come togliere l’aria ad una persona.

Nessuno, tanto meno l’ “Europa”- come si usa dire, impropriamente- ha alcun potere di tagliare i tempi, tanto meno se la “celerità” delle riforme dovesse apparire come “merce di scambio” per l’attenuazione dell’austerità che distrugge le economie europee. Solo se non taglieremo questi tempi -e se ci sarà una discussione pubblica- potremo avere una buona legge.

Che si chiami SCHOOL ACT oppure no.  

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