L’Italia investe in formazione il 4% del Pil, sotto di quasi un punto percentuale rispetto alla media della Ue (4,9%) e poco più della metà di quanto investito da Danimarca (7%), Svezia (6,5%) e Belgio (6,4%). Una media che supera di poco la spesa totale dei privati, pari al 3% del Pil secondo le ultime rilevazioni Ocse.
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Gli stati membri, pubblica Il Sole 24 Ore, “spendono un totale di 716 miliardi di euro sul settore, una quota pari al 4,9% del Pil continentale e la quarta voce di spese dopo protezione sociale (19,2%), salute (7,2%) e servizi pubblici (6,2%). Peggio della Penisola fanno solo la Romania (3,1%) e l’Irlanda (3,7%), mentre la Germania resta su valori percentuali abbastanza simili (4,3%). La prospettiva, però, diventa un po’ diversa quando si guarda ai valori assoluti: il governo tedesco mette sul piatto quasi il doppio di noi, 127,4 miliardi di euro contro i 65,1 miliardi dell’Italia”.
“Al tutto si aggiunge una retribuzione media dei laureati a un anno dal titolo che supera di poco i 1.100 euro netti, spingendo alla fuga all’estero dei profili più elevati e aumentando la difficoltà di dare sbocchi professionali alle figure «high skilled», a partire dai neolaureati nelle cosiddette discipline Stem (science, technology, engineering and maths: scienze, tecnologie, ingegneria e matematica). Sempre che il lavoro ci sia: la Penisola è tra i pochi paesi europei dove il titolo di studio non fa sempre da leva per l’impiego, con una quota di appena il 52,7% dei laureati occupati contro una media Ue dell’80,6%”.
Ma l’Italia “punta ancora meno sulla formazione terziaria, cioè l’università e i corsi post diploma: appena lo 0,4% sul 4% di Pil riservato all’education, uno dei valori più bassi dell’Europa a 28.
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