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La scuola americana e le armi

Il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump incontrando alla Casa Bianca un gruppo di genitori e studenti della scuola della Florida teatro dell’ennesima strage ha proposto di armare gli insegnanti delle scuole americane per metterli in condizione di difendere gli studenti nel caso di attacchi omicidi come quello di Parkland in Florida, dove un giovane ex studente della Marjory Stoneman Douglas High School ha ucciso diciassette persone tra studenti e professori.
La soluzione proposta non è condivisibile e anche se ”una scuola senza armi è una calamita per le persone cattive” la risposta non sono le armi. La scuola che deve insegnare e trasmettere valori non può e non deve usare le armi, non può insegnare la violenza.

La nostra Costituzione sancisce che “L’Italia ripudia la guerra”. Sulla porta Ferdinandea di Catania e nella sala consiliare di Palazzo degli Elefanti in piazza Duomo a Catania campeggiano due scritte indicative ed efficaci: “Literis armatur” e “Armis decoratur”. Le armi sono solo un decoro, la vera arma sono le “lettere”, la scuola, la cultura.
“Così ci hanno insegnato i nostri Padri e noi siamo ingrati e indegni di tanta eredità se non sappiamo coglierne il senso e il valore”.
Armarsi di cultura è la vera difesa e una sana educazione civica a scuola, capace di produrre apprendimenti efficaci e di modificare i comportamenti degli studenti, aiutandoli a modificare il modo di pensare, di sentire e di agire salva dai bullismi e dagli atti di violenza.
La proposta americana, anche se collocata in un contesto diverso da quello italiano non si può condividere, anche se si ascolta con rispettosa attenzione lo sfogo di un genitore «Noi, come Paese, abbiamo deluso i nostri figli, non doveva accadere. Proteggiamo gli aeroporti. Proteggiamo concerti, stadi, ambasciate – ha aggiunto Pollack, con la voce piena di rabbia -. Non posso salire su un aereo con una bottiglia d’acqua, ma lasciamo un animale armato entrare in una scuola».

La sicurezza degli studenti a scuola diventi una priorità e si ponga fine alla violenza armata e alle sparatorie di massa nelle scuole.
Nella scuola italiana, oggi, sono frequenti gli atti di violenza tra gli studenti e nei confronti dei docenti, dei dirigenti e del personale della scuola, anche da parte di alcuni genitori. Tutto ciò crea panico, tensione e preoccupazione.
Secondo gli psicologi “la scuola diventa il luogo dove le frustrazioni presenti ed emergenti in strati sempre più ampi di popolazione trovano l’humus ideale per attecchire”.
Come contrastare questa violenza? Qualcuno preferirebbe il pugno duro, qualche altro propone le telecamere in ogni classe, il metal detector all’ingresso delle scuole.
Si è proposto anche il docente “vigile” o “carabiniere” e secondo alcuni anche il referente per il bullismo dovrebbe diventare “poliziotto” e controllore dentro e fuori la scuola.
Con le telecamere e il metal detector non si costruisce una scuola del benessere che non potrà neanche essere quella indicata dallo psichiatra Paolo Crepet, il quale, intervenendo alla trasmissione Tagadà di La7 ha ribadito il suo pensiero sulla deriva educativa, che coinvolge famiglie e scuola, affermando in contrapposizione al “buonismo educativo” che “una scuola che non boccia è una scuola marcia”.
La bocciatura è un’arma che potrà essere utilizzata, ma la finalità della scuola è quella di promuovere e far crescere persone, ragazzi e giovani che diventano adulti e cittadini.
Alcuni genitori fanno crescere i loro figli come dei piccoli Budda cui essere devoti, consentendo loro di fare tutto. I ragazzi di oggi “hanno tutto e non sono contenti”.
Si sostituisce all’amore, alla paternità e maternità responsabile e autorevole, il regalo materiale, la paghetta per i capricci che diventano sempre più esigenti.
Questo comportamento è sbagliato, quando questi ragazzi diventeranno grandi, ci sarà qualcuno che gli dirà di “no” e allora le reazioni saranno imprevedibili e le conseguenze incontrollabili.
L’avvocato Giacinto Dragonetti (1738-1818), giurista abruzzese e avvocato fiscalista, laureato alla cattedra di Antonio Genovesi a Napoli, e nel 1792 magistrato della Monarchia di Sicilia, la seconda carica per importanza dopo quella di viceré, scrisse in riposta al Beccaria, autore del noto libro dal titolo “Dei delitti e delle pene” un volume, rimasto nell’ombra e custodito nelle biblioteche, conosciuto solo da pochi, mentre custodisce preziosi messaggi di positività e vantaggi sociali.

Se è vero che raccoglie più mosche un cucchiaio di miele che un barile di aceto, l’azione positiva di attenzione e di guida alla virtù, al bene, il costante riferimento ai valori, fatto bene con intenzionalità educativa e in costruttiva relazione, diventa più efficace delle punizioni e delle bocciature.
Il titolo ”Delle virtù e dei premi”, un pamphlet del 1766, ristampato in Francia e in Spagna, ma rimasto sconosciuto in Italia, diventa la risposta all’emergenza educativa che non si vince con la violenza del castigo, bensì con la delicatezza di una positiva relazione educativa, capace di costruire rapporti e interazione tra giovani e adulti.
La ricerca della felicità, la valorizzazione delle virtù, premiando anche l’impegno profuso nel conseguire il benessere dei cittadini, costituiscono i nuovi filoni da seguire per assicurare un vero successo educativo ed una promozione integrale della persona.
Non è “buonismo” cercare e percorrere la via del bene per conseguire i traguardi di una vera educazione e di una scuola di qualità, ma è un impegno educativo che caratterizza la professione docente.

Giuseppe Adernò

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