Attualità

La “teoria delle finestre rotte” e la devianza degli studenti

Può un vetro lasciato rotto nel tempo nella finestra di una scuola favorire episodi di devianza (e non solo di vandalismo) fra gli alunni? Secondo quanto emerge da alcuni esperimenti di psicologia sociale, la domanda non è così peregrina.

Partiamo dall’inizio. 1969: uno psicologo sociale, Philip Zimbardo, effettua un esperimento. Fa parcheggiare due auto della stessa marca e modello, lasciandole ferme per una settimana, in due zone molto diverse degli USA: la prima, nel quartiere del Bronx, a New York; l’altra, nella cittadina di Palo Alto, in California.

Come prevedibile, l’auto abbandonata nel quartiere più “difficile” (il Bronx), alla fine della settimana era già stata saccheggiata e vandalizzata. Diversa la sorte dell’auto abbandonata nel quartiere esclusivo di Palo Alto, rimasta intatta.

Zimbardo e gli altri ricercatori hanno allora riproposto il parcheggio dell’auto a Palo Alto, ma questa volta ne hanno rotto prima un vetro. Dopo una settimana, l’auto col vetro rotto a Palo Alto fa la stessa fine di quella del Bronx.

I risultati di esperimenti di questo tipo hanno portato, alcuni anni dopo, all’enucleazione di una vera e propria teoria (v. James Wilson e George Kelling, 1982: Broken Window Theory), secondo la quale la predisposizione o tendenza alla devianza è attivabile anche dalla “lettura” dell’ambiente circostante, in particolare, in riferimento al degrado e al reato osservabili (prima variabile) e su cui nessun soggetto interviene (seconda variabile). Con escalation incontrollabili a partire anche dai casi più banali.

All’origine del fenomeno di contagio di comportamenti devianti c’è la strutturazione nella popolazione di un’idea ben precisa: questa situazione non importa niente a nessuno. E questo può dare la stura ai peggiori comportamenti, perfino in persone che, in altri contesti, all’atto vandalico non penserebbero neanche.

La “teoria delle finestre rotte” viene collegata a tre concetti chiave: 1) principio di emulazione; 2) anonimato; 3) tolleranza zero rispetto ai reati o ai fenomeni di incuria.

Un noto episodio di applicazione di tale teoria ci riporta al 1994, quando era sindaco di New York, Rudolph Giuliani. New York aveva un tasso altissimo di omicidi (2.500 in un anno), con molti reati commessi all’interno della metropolitana. Giuliani decise che tutti gli uomini della polizia della metro fossero impiegati per il controllo del pagamento dei biglietti (aspetto banale, se vogliamo, rispetto agli omicidi). Sì, tutti. All’inizio, l’idea fu accolta da critiche e incredulità: non avrebbero avuto ben altro di più importante da fare tutti quegli agenti di polizia considerato il tasso di omicidi in metro?!

Eppure, la strategia ha funzionato egregiamente: il fatto che nessuno sfuggisse più al mancato pagamento dei biglietti entrava in un’insperata correlazione con la diminuzione del numero di omicidi in metropolitana (e quindi nella città di New York), ridotti in un anno ad un terzo.

Tutto questo insinua la possibilità di inediti rapporti di bidirezionalità causale: il ragazzo deviante può causare volutamente, poniamo, la rottura di una porta in una scuola (e fin qui, purtroppo, ci siamo), ma il permanere nel tempo di una porta rotta in quella scuola può causare a sua volta l’aumento di episodi di devianza in altri ragazzi.

La scuola in cui si lasciano sporchi i muri o non curati gli ambienti (“Stiamo aspettando il Comune…”), è avvertita: curricolo di Educazione civica e paternali rivolte agli allievi possono non bastare: conviene cominciare concretamente col far sparire le manifestazioni (anche piccole) di incuria e degrado e, soprattutto, i segni che inducono a pensare che il permanere di tale incuria a nessuno sembri importare gran che.

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Giovanni Morello

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