L’isolamento sociale causato dalla diffusione pandemica ha provocato la chiusura delle scuole, queste hanno cercato di mantenere l’attività con la didattica a distanza utilizzando strumenti e piattaforme che prima dell’emergenza erano di supporto e presenti a macchia di leopardo, per motivi strutturali e di competenza.
La necessità ha sviluppato l’ingegno e le capacità, e questa pratica si è diffusa offrendo opportunità impensabili nei mesi scorsi.
La didattica a distanza è di pregio quando è di supporto, allarga le possibilità, è indispensabile nel supplire a quella in aula per brevi periodi, in casi di emergenza, diventa aberrante nel lungo periodo quando non vedi la fine.
La scuola fonda il suo apprendimento sul gruppo che si crea nella classe con la presenza fisica degli alunni e dei docenti, l’insieme diventa un corpo che cresce e ogni componente riceve vigore e alimento dagli altri. La classe mantiene una unità fisica configurata da un ordine interno mentale che è il risultato di un cammino guidato dai docenti che si sono succeduti.
La didattica a distanza ha atomizzato la classe, non esiste più, si vedono profili e immagini raggruppati sul computer in una lista. La solitudine e la noia accompagnano le videolezioni, sono ripetizioni private di gruppi virtuali sul desktop. Fintanto che non avremo acquisito l’immunità di gregge le classi non potranno riformarsi.
Le aule dei nostri istituti non possono garantire la distanza sociale, gli studenti non sono operai e impiegati con movimenti prevedibili che si possono programmare, non si può dividere un corpo formato, l’operazione è dolorosa e controproducente.
Gabriele Fraternali
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