Luca Ricolfi ha ben chiari i motivi per cui i docenti stanno perdendo autorità e autorevolezza.
“E questo – scrive il sociologo torinese in un suo articolo pubblicato su Il Messaggero – per elementari ragioni demografiche. I docenti sono un’élite intellettuale, ma se ne devi reclutare 1000 anziché 100 è inevitabile che il livello di preparazione e di talento dei reclutati sia significativamente più basso. Dagli anni del dopoguerra a oggi il numero di docenti delle scuole secondarie superiori e dell’università è quasi decuplicato, mentre la popolazione italiana è cresciuta relativamente poco (un po’ meno del 30%)”.
Ovviamente – chiariamo noi – il fatto che nella secondaria di secondo grado e all’università i docenti siano aumentati è dovuto al fatto che sono aumentati gli studenti che proseguono gli studi dopo la “terza media” che, di per sé, è anche un dato positivo.
Per la verità Ricolfi lascia intendere che una maggior severità del percorso di studi nella secondaria di secondo grado potrebbe servire anche a contenere il numero degli studenti in questo ordine di scuola con la conseguente riduzione del numero dei docenti necessari e il miglioramento della loro preparazione professionale.
La visione che sta alla base di un modello di questo genere è abbastanza chiara: la “scuola superiore” dovrebbe servire a mandare all’università i ragazzi destinati ad essere la classe dirigente del Paese, esattamente come è avvenuto, con ottimi risultati, per poco meno di mezzo secolo a partire dalla metà degli anni 20 secolo scorso quando entrò in vigore la “riforma Gentile”.
Visione che, dobbiamo ammettere, non pochi docenti italiani condividono, stando almeno ai commenti che spesso leggiamo nei social.
Quanto poi questa idea si coniughi con l’ipotesi di ampliare l’obbligo scolastico portandolo a 18 anni non è molto chiaro, ma questa è tutt’alta questione che varrebbe la pena di affrontare in modo più articolato.
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