Attualità

Maturità 2022, agli orali andrebbero evitati interrogazioni ordinarie e nozionismo

Sono iniziati gli orali agli esami di maturità.

Negli ultimi due anni la modalità dell’orale è stata l’unica forma di valutazione di questi esami. Mentre quest’anno, giustamente, nonostante alcune proteste dello scorso gennaio da parte di associazioni studentesche, sono stati reintrodotti i due scritti.

Scelga giusta, dicevo, perché è bene che gli studenti tengano a mente che le forme di comunicazione sono diverse, con codici e strutture di significazione diverse, con lessici diversi.

Non sono le uniche forme di interazione educativa e culturale, ma sono quelle, diciamo così, di base, per poi lasciare ad altre forme il compito di arricchire le nostre relazioni e le nostre conoscenze.

Potremmo anzi dire che le materie scolastiche, e gli indirizzi di studio stessi sono modalità diverse di dire, di pensare, di comunicare, direttamente e indirettamente, le tante facce del mondo e di noi stessi. Secondo sintassi e semantiche, cioè significazioni, articolate in modo plurimo, ma tenute assieme dal nostro pensiero pensante, sempre che questo pensiero sia pensato secondo quella apertura che ritroviamo naturalmente dei bambini, anzitutto attraverso, verso i due anni e mezzo, i tanti e insistiti “perché”.

Per rendere possibile questo pensiero pensato basterebbe una piccola avvertenza: prestare attenzione, nel nostro dire, al principio di non contraddizione, che è appunto criterio di significanza, come di realtà.

Ah, se la scuola tutta, nei diversi ordini, riuscisse a mantenere in tutti gli studenti una sorta di vigilanza sempre fresca su quel domandare originario: per-chè, cioè per quale “che”, o spicchio di realtà, le cose sono come sono? O sono per come appaiono?

Ecco l’affacciarsi dell’atto di intelligenza, di quella originalità che poi in ciascuno diventa talento, emozione, sensibilità, capacità, competenza.

Nell’orale della maturità vanno dunque evitati, come errore fondamentale, sia la replica di una interrogazione ordinaria sia quel nozionismo per cui uno studente verrebbe riconosciuto bravo, dunque meritevole di un buon voto, solo se ripete meccanicamente, anche nelle parole, la spiegazione del suo docente o di un manuale. In più, in un orale alla maturità le informazioni non sono fini a se stesse, nemmeno se specialistiche, ma tutte sono funzionali a quella sintesi che è, appunto, un esame che diventa, al tempo stesso, riflessione finale di un percorso di studio e di vita.In ragione di una domanda: a che è servito lo studio di questi anni, in vista di cosa, secondo quali linee di ricerca, e di scelta di vita, successive?

Parlavo del valore della sintesi, della capacità di sintesi, perché la nostra società privilegia invece chi produce di continuo analisi, anche se poi fa fatica a fare sintesi, con la classica domanda sul senso o valore complessivo, che rimane troppe volte senza anche un minimo di risposta.

Siamo cioè bravi nelle analisi, cioè a scomporre un tema, un argomento, una complessità in mille rigagnoli, ma poi la sintesi diventa un miraggio. E lo vediamo a tutti i livelli, anche politici.

Nel colloquio di un’ora circa, alla maturità, partendo da uno spunto offerto dalla commissione, doverosamente coordinata dal presidente, uno studente può costruire e proporre un proprio sentiero inter e multi-disciplinare. Senza forzature, per dimostrare quell’apertura mentale che, con flessibilità, è il vero valore aggiunto della scuola italiana rispetto ai modelli scolastici di altri Paesi, più interessati alle specializzazioni, ma in forte difficoltà nella capacità, dicevo, di fare sintesi, di raccogliere l’essenziale, “passando attraverso” (per i classici il vero atto culturale) i frammenti per proporre una visione d’insieme e uno sguardo sul futuro. Anche se questa visione d’insieme sarà comunque ipotetica, perchè forma apertura di un dialogo, di una ricerca ulteriore, cioè di quel valore che è al tempo stesso entusiasmante e faticoso. Insomma, il cuore vivo di una vita. Socraticamente: “una vita senza ricerca non è degna di essere vissuta”.

Sapendo, per chiudere, che per ricercare devo sapere cosa ricercare. Dunque, ricercando, so e non so, con umiltà.

Attraverso un colloquio di un’ora, che chiude un percorso di cinque anni, è possibile dunque tenere viva la fiammella socratica della scuola, cioè il senso suo più vero.

Questo tenere viva della fiammella è la reale e concreta responsabilità del presidente e dei docenti della commissione. Auguriamo a tutti di non dimenticarsi di questo compito primario del loro servizio agli studenti e alle famiglie.

Gianni Zen

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