I lettori ci scrivono

Mio figlio, uno studente plusdotato, non vuole più andare a scuola

Questa volta non scrivo come prof. ma come mamma; o forse scrivo come mamma e come prof. al tempo stesso perché il fiume in piena di pensieri tra cui nuoto pare darmi un attimo di tregua.

Tre figli, tre caratteri, tre diversi tipi di intelligenza. Tre percorsi diversi, indubbiamente, e a volte incomprensibili.

A quattro mesi dalla maturità, appena in tempo per ritirarsi da scuola, mio figlio mi annuncia che lascia tutto e cambia strada.

Avete presente un pugno sul naso e lo sgretolarsi del setto nasale?

Io ho provato esattamente questa sensazione.

Il mese di febbraio è stato un calvario, un continuo “vai/no non vado” per nulla giustificato dalla media non eccelsa, ma neppure irrecuperabile dei voti (per la precisione 6,33). Tra famiglia e professori gli facciamo notare che, se si impegna, può strappare anche un 70 mentre se non si impegna può solo cadere.

Quella mattina a scuola mi guarda con un volto non suo: prevale la maschera del ragazzo difficile sotto cui nasconde il suo fragile io geniale.

Lo vedo camminare come un funambolo sonnambulo sul filo delle sue possibili scelte.

Gli chiedo quale sia il problema: tentenna ma non parla, forse pensa.

Alle osservazioni di uno dei docenti faccio notare che mio figlio ha una diagnosi di plusdotazione.

La risposta è la solita: si vede che è uno che ragiona bene ma non s’impegna abbastanza.

Mi sembra di essere tornata al punto di partenza: cambiati i professori ricomincia tutto daccapo: la matematica è ordine e costanza e sì, le soluzioni ci sono, ma non sono quelle che ho spiegato; l’inglese buttato un po’ lì perché sa ma si mangia le parole (ma va? e guarda un po’ che il cluttering è una delle caratteristiche della disarmonia!) e sintetizza troppo, l’italiano dovrebbe essere approfondito maggiormente perché il ragazzo può fare senz’altro di più.

E se non potesse fare di più? Se i suoi percorsi neurologici fossero diversi? Del resto c’è una diagnosi cristallina.

Ma noi Le abbiamo presentato un Bes che non ha firmato.

Non l’ho firmato perché era un Bes per Dsa con tanto di proposta di schemi per uno che apprende fuori da ogni schema.

Eh, ma lui ha un’ottima intelligenza!

Pare che il certificato di plusdotazione sia un qualcosa da appendere lì, quasi a dire: “Bene, è plusdotato, quindi non ci sono problemi”.

Invece la plusdotazione si accompagna alla disarmonia e con le disarmonie non si scherza perché creano dispersione scolastica.

Mio figlio con due anni di pandemia ha perso interesse per lo studio ma è riuscito a resistere fino a che c’è stato il giusto team di professori; entrati questi in ruolo in altre scuole, si è perso.

“Mamma, io cambio scuola perché vivo ore di vuoto infinito e non lo posso più sopportare”.

Mi chiede di essere iscritto al serale. Con gli adulti. Al professionale.

Avrebbe potuto chiudere la partita affrontando la maturità a diciassette anni.

Decide di fare un passo indietro.

Gli viene proposta una classe terza perché non sa neppure cambiare una lampadina in sicurezza.

Sa un po’ di filosofia. Sa un po’ di latino. E filosofia e latino sono le materie che ancora ama.

Prima del lockdown risolveva a mente le disequazioni.

Ha cambiato quattro professori di matematica in quattro anni in un liceo scientifico. Risultato?

La matematica gli è venuta a noia perché si ripartiva sempre dal ripasso e non si andava avanti.

“Ma scusa, retrocedi? Non ami più studiare, hai davanti solo quattro mesi e preferisci farti altri tre anni?”

“Non retrocedo: investo il mio tempo: due anni di scuola in Dad… non era scuola. Non è questione di studiare: non abbiamo le competenze per questo tipo d’esame, io lo so e in più mi annoio.”

Taccio.

Io non condanno nessuno, penso che la scuola fatichi già ad accettare Dsa e Adhd. Una Scuola così non è pronta per i plusdotati disarmonici; i corsi di formazione sono pochissimi, le strategie irrealizzabili: un plusdotato in genere sta attento quaranta minuti, poi dovrebbe fare un bel giro, respirare e cambiare aula e materia.

Potrei impormi. Dirgli: ora finisci ciò che hai iniziato. Non lo faccio.

Credo che a diciassette anni un ragazzo abbia bisogno di sentire che le sue scelte vengono rispettate.

Credo che la Scuola col suo precariato e con la sua inesperienza sui gifted boy stia gettando alle ortiche i talenti migliori.

 Alessandra Giordano

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