Secondo l’Ufficio nazionale antidiscriminazioni razziali (Unar) e l’Istat le persone Lgbt+ subiscono discriminazioni lavorative, ma anche minacce e aggressioni, durante la ricerca di un lavoro o nel corso dell’attività dipendente.
Ben il 41,4% delle 1200 persone occupate o ex-occupate intervistate dichiara che la propria omosessualità o bisessualità ha rappresentato uno svantaggio nel corso della vita lavorativa in almeno uno dei tre ambiti presi in considerazione dalla rilevazione: carriera e crescita professionale, riconoscimento e apprezzamento, reddito e retribuzione.
E ancora. Il 61,2% delle persone, con riferimento all’attuale o ultimo lavoro svolto, denuncia aver preferito non parlare della vita privata “per tenere nascosto il proprio orientamento sessuale”.
Un silenzio particolarmente diffuso tra le donne che registrano un’incidenza del 65,7% contro il 58,5% della componente maschile.
Inoltre, circa una persona su tre dichiara di aver evitato di frequentare nel tempo libero i colleghi di lavorativo proprio per non rivelare l’orientamento sessuale,
mentre ben il 31,2% afferma che qualcuno abbia rivelato ad altri il suo orientamento sessuale senza averne ricevuto il consenso.
Ma a causa del proprio orientamento sessuale, circa otto persone su dieci subiscono micro-aggressioni sul posto di lavoro. La quasi totalità delle vittime afferma di aver sentito “battute offensive o allusive nei confronti delle persone gay, lesbiche o bisessuali” (oltre nove su dieci) oppure di aver udito qualcuno “definire una persona come frocio o usare in modo dispregiativo le espressioni lesbica/gay o simili” (87,1%).
La rilevazione evidenzia infine come le discriminazioni colpiscano in particolare le fasce più giovani, quelle a caccia di un mestiere.
E infine, secondo l’Istat, e questo è un dato su cui occorre riflettere, circa “sette persone omosessuali o bisessuali intervistate su dieci (71,9%) dichiarano di aver subito almeno un evento di discriminazione a scuola/università”
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