L’ultimo rapporto dell’OCSE sull’Istruzione svela che negli Stati in cui questo dato è migliore rispetto all’Italia, cioè di avere un numero di laureati troppo basso rispetto alla popolazione, potrebbe non essere esattamente così.
Education at a Glance, la più recente indagine sullo stato della scuola e dell’università nei Paesi dell’area OCSE, sottolinea che la presenza di studenti stranieri influisce notevolmente sul numero di laureati, facendo lievitare a dismisura il dato nelle nazioni più ricettive.
Gli studenti che scelgono di laurearsi in un Paese straniero,riporta Università.it, non sempre vi rimangono poi anche per lavorare, per cui in molti casi non entrano mai a far parte della popolazione effettiva, ma – avverte l’OCSE – vengono comunque inclusi nel numero assoluto dei laureati di quel Paese, contribuendo a farlo aumentare. Negli Stati nei quali la presenza di studenti stranieri è più elevata, dunque, il rapporto tra popolazione e numero di laureati sarebbe ‘gonfiato’ artificialmente.
Il rapporto dell’OCSE cita ad esempio i casi di Austria, Australia, Nuova Zelanda, Regno Unito e Svizzera. Se dal dato relativo al numero di laureati in rapporto alla popolazione si escludessero gli stranieri, in questi Paesi il tasso scenderebbe circa del 10 per cento per quanto riguarda le lauree di primo livello e ancora di più se si considerano quelle di secondo.
Se poi si ‘depurassero’ da quelli relativi agli stranieri i dati sul numero di dottori di ricerca rispetto alla popolazione, si scoprirebbe che in Finlandia, Germania, Svezia e Svizzera – dove il tasso di coloro che hanno completato un PhD è del 2,5 per cento – l’apporto degli stranieri è determinante. Infatti, al netto dei dottori di ricerca provenienti dall’estero, la percentuale di PhD in Finlandia si ridurrebbe dello 0,3 per cento e scenderebbe addirittura dell’1,6 per cento in Svizzera.
In sostanza, stando ai dati riportati nell’ultimo rapporto OCSE, la bassa percentuale di laureati e dottori di ricerca in Italia potrebbe essere frutto non solo di uno scarso interesse nei confronti dell’istruzione terziaria – ritenuta ormai inutile ai fini lavorativi – e dei ridotti investimenti nel settore dell’istruzione, ma anche dell’incapacità delle università del nostro Paese di attrarre giovani stranieri.
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