Oltre la crisi, per una nuova dirigenza educativa nella scuola

L’attuale crisi economica e sociale si accompagna ad una crisi manageriale (Censis), crisi di condizioni professionali, ma soprattutto di identità e di visione. Questo vale anche per il mondo della scuola che, dal 1923 (riforma Gentile) ad oggi, ha visto – per quanto riguarda la funzione dirigente – il trascorrere di pochissimi modelli professionali e quello attuale appare del tutto inadeguato.
Nel mondo della scuola statale abbiamo assistito ad un concorso che non riesce a conludersi ed al passaggio in un anno, a causa di un forsennato dimensionamento, del numero delle Istituzioni Scolastiche Autonome da 10.211 a 7.978, cancellando un quarto dei posti a dirigente delle scuole statali. Il prossimo anno più di 5.000 Capi di Istituto si troveranno a dirigere una scuola con una media di 1.500 alunni, di questi oltre 3.000 di loro ne dirigereanno due, costretti a fare i burocrati ed a mettere in secondo piano le relazioni didattiche ed educative.
Nelle scuole paritarie, invece, dopo la legge 62 una timida nascita dell’importante funzione del preside è rimasta congelata dai contratti di settore che lo hanno ridotto a semplice “coordinatore didattico”, mantenendo così una pratica tutta italiana di debolezza della autonomia professionale.
Forse, quando nel 2001 si è rimodulata la figura del preside, divenuto dopo quella data “dirigente scolastico”, non si è approfondito a sufficienza la natura di questo compito, né sono stati sciolti i nodi che puntualmente si sono ripresentati: la progressiva burocratizzazione della professione; l’attribuzione di competenze spurie (edificio, sindacato, sicurezza); l’assenza di potestà effettive e di uno staff di collaboratori; il sovradimensionamento delle scuole che costringe il preside a chiudersi in ufficio a smaltire pratiche, l’assenza e l’inefficienza di concorsi che hanno permesso allo Stato di abusare dell’istituto della reggenza.
La professione di dirigente nella scuola statale oggi vive uno stato di crisi. Burocrate o leader educativo? Datore di lavoro o guida di una comunità professionale?
Nonostante questo, moltissimi Capi di istituto hanno governato scuole in circostanze difficili quando non avverse, sviluppando in tante situazioni responsabilità, condivisione e progettualità che hanno permesso alla scuola italiana di reggere con dignità.
Ora è giunto il momento di ripensare la figura ed i compiti di chi dirige una scuola considerata non più come periferia dello Stato, ma come vera impresa sociale, fondata su ragioni ideali, a servizio delle persone e delle proprie comunità.
Per questo il nostro avversario è un tecnicismo dilagante, una voglia di tecnocrazia che si presenta come salvifica, ma che cela un vuoto di fiducia nel valore della persona e dei significati che danno vigore al suo agire.
Curare e sostenere l’avventura della conoscenza e l’intrinseca dimensione educativa è dunque – secondo noi – il cuore del compito direttivo nelle scuole.
Si tratta di una professione che l’Agenzia Europea Euridyce definì nel 2010 “cruciale” per il futuro e per la qualità delle scuole in Europa; allo stesso modo si esprimeva, nel marzo 2012 a NewYork, l’assemblea OCSE ribadendo l’urgente recupero di una nuova identità che corrisponda alle nuove attese.
Per questo il Convegno, anche attraverso il confronto internazionale dell’ultima giornata, vuole essere spazio di riflessione sulla centralità e l’importanza della direzione educativa ed organizzativa delle comunità scolastiche, riflessione che non può prescindere dall’urgenza di tornare ad investire sulle professioni della scuola e sulla scuola in generale, con scelte nuove che diano credito alle scuole autonome, alle comunità professionali, alle famiglie ed alle comunità locali alle quali le scuole appartengono.

Redazione

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