Le cause per l’Anvur vanno ricercate nel fatto che in Italia, a differenza di altri paesi, non ci sono corsi di laurea professionalizzanti, il che scoraggia i giovani dall’immatricolarsi negli atenei. E, tra l’altro, neanche chi si iscrive riesce così tanto bene: il 40% degli studenti non si laurea e, per i restanti, la durata media del corso di studi (nominalmente triennale) si attesta a 5,1 anni.
Altra causa riguarda il diritto allo studio. Le risorse a disposizione non consentono di garantire a tutti gli aventi diritto l’accesso alle borse di studio, e la copertura è passata dall’86% al 69%.
Anche sulla ricerca l’Italia boccheggia. Rispetto alla media Ocse, spende il 30% in meno, mentre i fondi a disposizione del Miur sono diminuiti di un miliardo rispetto al 2009, costringendo alla riduzione di personale e dei corsi di laurea soprattutto triennali e di dottorato.
Tuttavia, nonostante l’Italia conti su meno risorse e ricercatori degli altri paesi, i livelli della ricerca, misurati in termini di pubblicazioni e citazioni, restano comunque di eccellenza rispetto a paesi come Germania, Francia e Giappone.
In termini di produzione scientifica, dicono i dati, l’Italia ha una maggiore specializzazione nelle scienze matematiche e fisiche, nelle scienze della terra e nelle scienze mediche.
Rimane sempre, sottolinea Wired, una certa disaggregazione territoriale: le università del mezzogiorno hanno risultati meno soddisfacenti di quelle del centro-nord. Gli esperti hanno comunque verificato, tramite un’analisi econometrica, la correlazione tra denaro e qualità della ricerca, che aumenta al crescere dei fondi disponibili per gli atenei. Di qui, purtroppo, non si sfugge.
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