Dirigente scolastica più che stakanovista e forse pure troppo attaccata al suo lavoro: mi sostiene la passione, dice, ma non crediamo, in tutta onestà, che questo straordinario sforzo faccia bene alla scuola.
«La passione. Quando vedo 300 bambini che mi vengono incontro passa lo sconforto. Più del mio meglio non posso fare».
Nonostante il suo grande impegno, la dedizione, la passione, l’amore, e tutto ciò che si vuole, non potrà mai, con 21 scuole da dirigere, fare bene ciò che aspetta fare a 3/4 presidi, considerando il dimensionamento. In più la preside tappa buchi, sicuramente pagati e retribuiti, che invece forse occorrerebbe lasciare aperti o suddividere ancora, visto che altri suoi colleghi non li tappano, né sono obbligati a tapparli, proprio per costringere il ministro a sbrigarsi a bandire i concorsi.
Si chiama Paola Bellini, questa dirigente, scrive Il Corriere della Sera, 45 anni, titolare di una scuola di Pontevico, in provincia di Brescia, con 8 plessi. Sommando i 13 edifici della assegnazione provvisoria, sparpagliati su sei Comuni diversi, si arrivava a 21. Un record in Italia, anche al Nord dove l’accorpamento delle scuole in istituti comprensivi dopo la riforma Gelmini ha reso la gestione multipla una prassi
«Passo ore e ore in macchina — racconta al Corriere—. Vado da una scuola all’altra per incontrare docenti, assolvere compiti burocratici, mandare avanti progetti, farmi conoscere anche dai miei 3 mila alunni. E quello che non riesco a fare dal vivo, cerco di risolverlo al telefono: ho una scheda illimitata, così posso chiamare chi ha bisogno di me. Rimborsi spese? Non ce ne sono: credo che quei 700 euro lordi che dovrei avere in più in busta paga a fine mese serviranno a coprire le spese».
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«Le mie giornate iniziano poco prima delle 9, quando accompagno mio figlio di 10 anni a scuola, e finiscono in un orario variabile tra le 18 e le 23, in base alle riunioni e al lavoro che mi porto a casa: quando c’è l’autovalutazione o il piano dell’offerta formativa lavoro anche nel weekend».
«Ci chiamano presidi sceriffo e invece io e tanti altri colleghi lavoriamo senza sosta per fare tutto. Ci troviamo ogni giorno a dover risolvere emergenze, siamo responsabili legalmente dell’istituto, garanti della formazione, datori di lavoro, ma non siamo equiparati come contratto agli altri dirigenti statali. La riforma ha buone intenzioni ma i ritardi ci hanno penalizzato tantissimo: io stessa ho diversi buchi di professori e l’anno scorso sono dovuta andare a tenere una classe per non lasciarla scoperta. Se penso ai dirigenti che hanno solo una scuola, mi viene un po’ di rabbia. Ma non ho il tempo di soffermarmi. Sinceramente? Ogni tanto ci sentiamo lasciati soli».
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