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Riforma scuola italiana: e gli istituti professionali?

Sulla necessità di una profonda riforma della scuola italiana nessuno pare avere dubbi. Così come non v’è dubbio che tale riforma debba partire dagli aspetti cardine sui quali è imperniato il sistema scolastico italiano. Su questi ultimi c’è chi, più volte e ancora recentemente, ha trattato il tema in modo encomiabile, mettendo il dito in profondità nella piaga (si veda per esempio l’intervento sul Corriere questo link).

Qui vorrei invece sottolineare che, molto più modestamente, anche i piccoli interventi correttivi potrebbero produrre risultati tanto importanti quanto necessari e improrogabili. Al ministro Bianchi ne suggerisco uno urgente: cancelli il più presto possibile almeno alcuni aspetti di quell’orribile riforma degli istituti professionali varata con la cosiddetta Buona Scuola, a partire da quella orrenda insensatezza che è il PFI, il Progetto Formativo Individuale, nei fatti un esempio luminoso di burocrazia demenziale che si traduce in uno straordinariamente inutile documento la cui compilazione grava come un pesante fardello sui docenti degli istituti professionali proprio nei momenti in cui già si moltiplicano le incombenze, ovvero al termine del primo quadrimestre e dell’anno scolastico.

Chi insegna in questa categoria di scuola secondaria di secondo grado sa di cosa sto parlando: un roboante documento ricco di nulla, la cui compilazione, con quel coacervo di astruse tabelle fittissime di numerini da inserire ad uno ad uno, risulta frustrante e persino umiliante per i docenti – di ogni alunno si devono in apertura trascrivere persino gli hobby e i gusti, manca solo la preferenza per le penne o i fusilli – , e per giunta totalmente inutile a coloro i quali dovrebbe teoricamente giovare, ovvero i ragazzi e i loro genitori, che mai si avventurerebbero nei meandri oscuri di questo documento senza neppure – e comprensibilmente – comprendere il senso di tale sforzo.  Un faldone sul quale gli insegnanti – a partire da chi in ogni classe ha la sventura di coordinare la stesura del PFI – spendono lacrime e sangue, intrisi di profonda mestizia nella consapevolezza del tempo prezioso che obtorto collo devono gettare alle ortiche per un adempimento di insuperabile assurdità.

Il ministro Bianchi si informi e capirà che, al di là di ogni più o meno ampollosa descrizione che scaturisce da documenti ufficiali e ufficiosi e oltre ogni ambizioso (?) intento, il PFI costituisce nei fatti una sciocchezza clamorosa, che fa a pugni con le reali necessità della scuola, fino ad oggi – quelle sì – più o meno sistematicamente obliate, con i risultati a dir poco sconfortanti che le prove Invalsi hanno svelato poche settimane orsono sollevando definitivamente quel velo che da parecchi lustri mal celava la condizione penosa di buona parte della scuola italiana.

E, allora, il ministro non avrà tema di abrogare non solo questo indecoroso e offensivo – del buon senso di sicuro – scartoffione di sublime inutilità, ma anche la stessa norma che impedisce, negli istituti in parola, di respingere gli alunni al termine del primo anno  – dopo le elementari e, de facto, le medie, con questa riforma siamo arrivati alle superiori nel garantire il calcio nel sedere che scaraventa lo studente all’anno successivo – illudendo anche quelli più lontani dal minimo sindacale fino al termine del secondo anno e ponendoli dunque a rischio fortissimo di dover ripensare il loro futuro dopo aver perso non uno, ma due anni della loro vita. Coraggio ministro. Ogni riforma non è del resto, di per sé, cosa buona e giusta. E l’errore più grave, spesso, è proprio quello di non correggere i passi falsi commessi. Dimenticando che, un passo falso dopo l’altro, si va inesorabilmente alla deriva.  

Sergio Mantovani

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