I lettori ci scrivono

Se le regole diventano “burocrazia” e a scriverlo è un educatore

Quando in un articolo che parla di scuola leggo “burocrazia” comincio ad andare in ebollizione.

Come una automobile che abbia qualche problema col raffreddamento del motore.

La metafora non è casuale perché come nell’auto il motore è l’elemento propulsore, nella scuola la funzione educativa dovrebbe esserlo ancor di più della funzione di tipo disciplinare.

E quando la funzione e la riflessione educativa non accompagnano la funzione di tipo disciplinare il motore va in ebollizione e si rischia la fusione.

Che nello Stato di diritto si debba invocare il rispetto, anche nei tempi eccezionali del COVID, delle norme anche a scuola e nella scuola e che questo non c’azzecchi proprio nulla con la burocrazia e gli apparati burocratici dovrebbe essere patrimonio comune di ogni docente. Indipendentemente dalla disciplina di cui ci si occupa.

Evidentemente per il collega Rocchi è più semplice invocare una “burocrazia” che nulla ha a che fare con quello di cui si discute e cioè sulla opportunità di “allungare” l’anno scolastico sulla base di un ragionamento basato su “scuole chiuse” che è un assunto giuridicamente inesistente e fattualmente ancora meno evidente.

Che le lezioni debbano avere una durata legale (almeno 200 giorni) è “burocrazia” per Rocchi?

Se sì, lo nota tardi visto che da anni è richiesto questo requisito che non è burocratico ma evidentemente legato ad una valutazione del tempo scuola necessario per il raggiungimento di determinati obiettivi.

Che questo tempo non sia stato ridotto è un fatto come che ci sia il COVID è un altro fatto. Cosa c’entra la “burocrazia” con la valutazione degli esiti della DAD?

Mistero che Rocchi si guarda bene dal dissipare anche perché il mistero si infittisce ancor di più leggendo questo passaggio della replica di Rocchi all’analisi di Andrea Toscano.

Il passaggio è :” Tra marzo, aprile, maggio e i “giorni canonici” di giugno c’è ancora spazio per creare un ritmo più vicino alle esigenze dei nostri studenti”.

Ma quali siano, in effetti, a giudizio di Rocchi, queste esigenze o in cosa consista il giusto ritmo, non è dato sapere.

Esigenze di frammentare il tempo scuola, esigenze di intensificarlo o cosa?

Esigenze di evitare l’alternanza di DAD e presenza? E cosa c’entra questo con una diversa gestione di questi mesi che ci separano da giugno?

Aggiunge Rocchi ”Ovviamente, poiché sono un insegnante, io rifletto qui in termini pedagogici e didattici, non burocratici, e mi limito a constatare che se soltanto si vuole fare qualcosa, si può.“

Ancora una volta un termine, “burocratici”, che non si capisce a cosa faccia riferimento.

Alle competenze statali o regionali? Ma Rocchi dovrebbe sapere che la gestione del calendario scolastico è competenza regionale e che, ancora una volta, la burocrazia nulla c’entra.

Ancora più incomprensibile risulta quest’altro passaggio: “La causa che sta alla base della rimodulazione -e della sua urgenza- è peraltro larghissimamente condivisa, ed è la stanchezza di studenti e docenti.”

Ora, veramente, non seguo: c’è una stanchezza ed allunghiamo l’anno scolastico? E’ decisamente controintuitivo che la stanchezza si attenui prolungando il tempo di permanenza nelle aule. Ma di cosa stiamo parlando?

Di un confronto rifiutato se si scrive “Per questo non risponderò nel dettaglio alle acute osservazioni procedurali che pure ho letto con attenzione. In tempi normali ci sarebbero mille ragioni e mille norme a ostacolare una bizzarria come la modifica in corso dell’anno scolastico.”

Ancora “osservazioni procedurali”, termine che ha a che fare con la  “burocrazia” ma qui non parliamo di scienza dell’amministrazione, qui parliamo della necessità di non decidere che lo “stato d’eccezione” corrisponda nella scuola ad anomia ed assenza di regole e norme certe.

Perché non si rende un buon servizio a nessuno con l’idea che la scuola si caratterizzi per  una falsa autonomia che fa rima con anomia.

Franco Labella

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