Soggiorno a Tonnara e manifestazione degli insegnanti

Sono rientrato da Tonara dove, insieme a mia moglie, abbiamo soggiornato per dieci giorni. E’ stata una esperienza rilassante dato che, in assenza del computer e del televisore, una buona parte della giornata è stata dedicata alla lettura e alle passeggiate, oltre alle degustazione
delle specialità locali. Naturalmente ci siamo tenuti informati dei fatti di cronaca isolana attraverso la lettura del quotidiano “L’Unione Sarda”. Più articoli sono stati dedicati alle azioni di protesta degli insegnanti precari che temono di essere costretti ad emigrare verso altre regioni pena la perdita della possibilità di essere immessi in ruolo. I manifestanti (prevalentemente di sesso femminile e con famiglia) adducono le loro ragioni, sicuramente comprensibili: le novità della procedura, previste
sì dalla legge, ma non sufficientemente ponderate per le conseguenze pratiche da coloro i quali l’hanno partorita. Ho seguito la vicenda con distaccato interesse ma con curiosità in quanto mi ha risvegliato
ricordi giovanili di “emigrante” in un periodo in cui la Sardegna (e il meridione in generale) era un luogo da cui si partiva e si arrivava con la classica “valigia di cartone legata con lo spago”. Una sera dei giorni scorsi, dopo cena, ho avuto l’occasione di accennare alla vicenda con un  tonarese cinquantacinquenne, che, intorno al 1970, aveva frequentato il locale istituto industriale, allora abbastanza affollato anche per le prospettive di lavoro che l’industria chimica prometteva nella zona al centro della Sardegna. Ricordava il tonarese che, in quei tempi, molti erano i professori siciliani. Un concittadino di fede sardista aveva organizzato una manifestazione per protestare contro l’invasione dei siciliani nelle scuole della zona. Nel bel mezzo della manifestazione si presenta con una valigia, un professore insegnante di matematica, abbastanza conosciuto e stimato da buona parte degli astanti e dichiara di essere pronto ad andarsene se solo uno dei presenti dichiarasse che egli non avesse ben insegnato la matematica. Nessuno osò proferir parola.
Del racconto, di cui non conosco il seguito, mi piacque e mi compiacqui, nel riconoscere nel gesto teatrale, il catanese che ama sentirsi sempre al centro del palcoscenico nella buona e nella cattiva sorte.

I lettori ci scrivono

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