Categorie: Didattica

Spunti di riflessione: La condizione umana e la jihad terroristica

La “Condizione umana” dello jihadista salafita che uccide, facendosi nello stesso tempo uccidere dalla medesima bomba che ha in grembo, quale rapporto ha col terrorista descritto nel romanzo di André Malraux, La condizione umana, sullo sfondodella Cina destabilizzata del 1927? Forse ha poca attinenza, ma la letteratura sa per certi versi anticipare la storia attraverso personaggi come Kyo, il protagonista del romanzo che coordina le forze insurrezionali del Comintern comunista contro i nazionalisti di Chang-Kai-Shek. Come gli stragisti islamici in Francia, il rivoluzionario Kyo di cinese ha poco perché è figlio di un francese e di una giapponese e ha trascorso l’adolescenza in Giappone. Ma anche il terrorista Tchen, che decide un attentato, ha perso ogni legame con la Cina, “traviato” sin dall’infanzia dalla cultura cristiana, per cui vive uno sdoppiamento della coscienza, fra partecipazione all’azione e sentimento di estraneità alla medesima. Infatti è lui che posseduto, come il medium dal rito voodoo, dal terrorismo, trasforma sé stesso in bomba umana, cosicchè dopo il fallito attentato al generale Chang-Kaï-Shek, Tchen decide buttarsi lui stesso sotto la macchina del dittatore con una bomba, realizzando per un verso “il completo possesso di sé” e dall’altro facendo coincidere il senso della sua vita col senso della sua morte.

La letteratura europea in definitiva conosce bene queste esplosioni dell’animo e l’angoscia della morte che costituiscono la “Condizione umana”, come del resto, prima di Malraux, descrisse Dostoevskij nei “Demoni” attraverso il personaggio di Aleksej Nilic Kirillov, il perfetto nichilista che per dimostrare l’inesistenza di Dio, e dunque la necessità della creazione di un uomo che non sia più un semplice uomo, bensì un Ultra-Uomo-Dio (come gli ha insegnato Nietzsche), è pronto all’estremo sacrificio del suicidio, mettendo però la sua morte a disposizione di una cellula terroristica. La correlazione con un jihadista del cosiddetto califfato islamico è forse inconsueta però anche in questo caso, seppure con prospettive e visioni del mondo del tutto differenti, la motivazione porta con sé l’affermazione di una idea e di un principio. La cellula terroristica infatti descritta da  Dostoevskij, stretta attorno a un solenne giuramento, trova nell’ingegnere Kirillov il colpevole consenziente di un omicidio di cui è però egli assolutamente estraneo.

 

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E siccome ha intenzione di suicidarsi, viene ingaggiato in attesa di ricevere l’ordine di togliersi la vita e assumersi la responsabilità di un omicidio. Se il punto di vista è diverso, rispetto ai fondamentalisti islamici, Kirillov considera il suicidio la più alta presa di coscienza possibile e universale dell’uomo perché decide di immolarsi per dimostrare che  il suo sacrificio è un atto per donare la libertà al mondo ed innalzarsi allo stato di Oltre-Uomo contrapposto a Dio: “Se non c’è Dio, io sono Dio. Se Dio c’è, tutta la volontà è sua, e io non posso sottrarmi alla sua volontà. Se non c’è, tutta la volontà è mia, e sono costretto ad affermare il libero arbitrio.” Al contrario però dei terroristi, Kirillov sa bene che “Uccidere un altro sarebbe la più bassa manifestazione del mio libero arbitrio. Io mi uccido per manifestare la mia ribellione e la mia nuova terribile libertà”. Questa vertigine dell’abisso, che riguarda e guarda solo lo specchio di sé, nella bestiale concezione degli jihadisti salafiti dell’IS è però sconosciuta.

Pasquale Almirante

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