Stiamo combattendo una battaglia che nessuno ascolta

Siamo due donne, nonché insegnanti precarie di seconda fascia, non deportate ma disoccupate o in attesa che qualcuno le “chiami” a prendere servizio per qualche ora in qualche scuola.

Per anni abbiamo insegnato in qualsiasi condizione pur di ottenere gli agognati 12 punti da inserire nelle domande di graduatoria, ci siamo occupate dei corsi di recupero per far colmare i debiti formativi degli alunni; corsi che spesso e volentieri sono stati retribuiti dopo ben 6/9 mesi.

Pensavamo che tutto ciò sarebbe stato ricompensato una volta indetti i corsi PAS (percorsi abilitanti speciali), data la promessa di essere inseriti nelle GaE, per il conseguimento dell’abilitazione nelle varie classi di concorso. Tali corsi sono costati solo di tasse 2.500 euro, senza considerare le spese per le fotocopie, i libri, la stampa delle infinite tesine in Power Point e non da ultimo le spese per il viaggio. Sì, perché la maggior parte degli insegnanti viaggiava da tutte le provincie della Sardegna per confluire nelle Università di Sassari e Cagliari.

Infine, giusto per avere un’idea generale, gli stessi che i pomeriggi (da Marzo a Luglio inoltrato) seguivano i corsi, erano coloro che la mattina svolgevano regolarmente lezione in classe.

Non stiamo a dilungarci sull’esperienza dei PAS, organizzati giusto per rimpinguare le casse delle Università, con docenti talvolta poco interessati e non adeguati al tipo di formazione richiesta, ma pronti a trattare gli insegnanti come giovani e inesperte matricole, minando le certezze acquisite sul campo.

Stiamo combattendo strenuamente una battaglia che nessuno ascolta. Non ci siamo volute associare ad alcun potere che manipolasse o strumentalizzasse la nostra lotta ma scriviamo perché ancora crediamo che la parola possa comunicare, continuiamo a credere di avere dei diritti costituzionali: il diritto di lavorare e sottolineiamo diritto, di esprimere la propria opinione, di avere delle risposte serie da parte di persone competenti che abbiano il senso del dovere.

Siamo profondamente in disaccordo con la legge n°107 che viola in troppi punti i principi costituzionali ed è stata redatta con superficialità e pressapochismo; non si può pensare ad una scuola non pubblica perché si toglie il diritto allo studio a quella parte, molto ampia, di popolazione che non si avvale di amicizie importanti. La scuola deve dare a tutti la possibilità di avere un futuro, di emergere per merito, di trovare la propria strada, di comunicare in maniera comprensibile e dignitosa, di comprendere ciò che gli viene propinato come vero.

La scuola è l’ambiente in cui si impara a vivere in senso lato, la scuola è stato il nostro percorso e lo sarà per i nostri figli.

È vero gli insegnanti talvolta sono antipatici e acidi ma immaginate come sareste voi in un ambiente in cui ci sono 28 o 30 adolescenti scatenati con variazioni umorali, immaginateli, perché li conoscete, quando si impossessa di loro quel demone che non riuscite a distruggere, provate a togliergli il telefono o la sigaretta per un paio d’ore e poi ne riparliamo.

Viviamo per quei ragazzi, la nostra vita è concentrata su di loro, combattiamo per loro perché abbiano un futuro.

Non arrendiamoci a chi vuole tutelare gli interessi forti a discapito di chi forza non ne ha, riappropriamoci dei nostri diritti semplicemente applicando la legge, non chiediamo favori, non scavalchiamo gli altri, abituiamoci ad essere un popolo civile.

 

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